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Roberto Mancini non abbandona la nave Italia. I motivi del disastro: gli italiani non giocano più

Luca De Lellis
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Con buone probabilità Roberto Mancini resterà il Commissario Tecnico della Nazionale Italiana anche per il prossimo ciclo. Uefa Euro 2024 in Germania, proprio lì dove si consumò l’impresa del Mondiale 2006 (che coincide anche con l’ultima partecipazione alla fase a eliminazione diretta dell’Italia), e Coppa del Mondo Fifa 2026 – che si disputerà tra Stati Uniti, Canada e Messico – sono i due appuntamenti all’orizzonte a cui l’Italia non potrà mancare. Nonostante il naufragio di giovedì scorso, che ha decretato la seconda esclusione consecutiva dal Mondiale sotto i colpi della modesta Macedonia del Nord, Mancini ha scelto di non abbandonare la nave. Una decisione coraggiosa, ma comprensibile se ci si ferma a riflettere sul percorso. Un cammino partorito sulle macerie della notte di San Siro contro la Svezia e culminato con la salita sul tetto d’Europa solo otto mesi fa, di cui l’artefice è individuabile proprio nel cinquantasettenne di Jesi, non può collassare in questo modo. L’ampio dibattito dell’opinione pubblica sull’opportunità delle dimissioni ha trovato la risposta secca del ‘Mancio’: non è ragionevole gettare alle ortiche quasi quattro anni di lavoro per una partita.

 

 

Tutto questo non allevia il dolore di una ferita che brucia ancora tanto, troppo, per essere dimenticata. Un dato inconfutabile è quello riportato da Sky Sport, che può fornire una chiave di lettura interessante sulle problematiche (profonde) riguardanti il sistema calcio in Italia. Delle 8 squadre che attualmente occupano le prime posizioni della classifica di Serie A, nessuna arriva al 40% di minutaggio totale di giocatori italiani in campo: Atalanta (21,7%), Napoli (22,6%), Milan (22,7%) e Inter (28, 6%) sono tra le peggiori di questa speciale graduatoria, mentre Roma (30,4%), Lazio (33,5%), Juventus (33,7%) e Fiorentina (37,6%) si attestano a metà, con una percentuale comunque non significativa. Di conseguenza la maggior parte dei calciatori italiani milita nelle squadre “medio-piccole”, sprovvisti dell’esperienza necessaria in campo internazionale per evitare di cadere nella morsa della paura. Perché questo ha eliminato l’Italia: la paura di non qualificarsi, riflettuta ampiamente nel gioco espresso (anche nelle ultime gare del girone di qualificazione), in particolare negli ultimi 20 metri di campo.

 

 

In Italia ci sono giocatori forti, ce ne sono sempre stati, nonostante il movimento dei settori giovanili abbia da decenni delle enormi lacune strutturali. Forse, l’unica soluzione per spingere le “grandi” del campionato a puntare sui giovani italiani sarebbe quella di reintrodurre la norma del numero massimo di calciatori stranieri in rosa. In ogni caso il blasone, la tradizione, le imprese storiche della nazionale capace di raggiungere nella sua storia 4 titoli mondiali e 2 europei ci dicono che il disastro compiuto pochi giorni fa non può (e non deve) ripetersi ancora. 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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