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Djokovic: l'Us Open: forse si gioca, ma con grande ristrettezze

Simone Vitta
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Giorni frenetici per sapere se il grande tennis si rimetterà in moto a partire proprio dagli Us Open. Fra poco una settimana saprà se il prestigioso torneo americano, in calendario dal 24 agosto al 13 settembre, si giocherà ed eventualmente se sarà mantenuta la sede di Flushing Meados a New York, una delle città più colpite dalla pandemia da coronavirus. In attesa di conferme sembra che, per bilanciare le perdite di uno Slam che con ogni probabilità si giocherà a porte chiuse, gli organizzatori stiano pensando a ridurre il montepremi sia per il maschile che per il femminile del 5% per cento rispetto al 2019, quando fu di 57 milioni di dollari. Ventilata anche l’ipotesi di non disputare il torneo di doppio misto, le qualificazioni, il torneo di tennis in carrozzina e i tabelloni junior. Per i tabelloni di doppio si considera invece la riduzione del numero di partecipanti. Ancora nulla di ufficiale da parte della Usta, ma l’indirizzo sembra questo. Intanto dopo Nadal («oggi non giocherei un torneo a New York», ha detto lo spagnolo qualche giorno fa), ha espresso i suoi dubbi anche Djokovic. «In qualità di presidente del Player Council dell’Atp mi è stato detto che non c’è nulla di certo, ma se si dovesse giocare ci saranno delle regole specifiche e molto restrittive». Il serbo di fatto ha confermato ciò che già si sapeva dando però qualche dettaglio in più: «I giocatori non avranno accesso a Manhattan e dovranno stare vicino all’hotel o alle strutture di gioco. Ognuno di noi farà tre tamponi a settimana. Inoltre avremmo diritto a una sola persona del nostro staff senza prendere in considerazione allenatori, preparatori e fisioterapisti. Con queste misure mi sembra impossibile, è un protocollo estremo. Capisco che ci sono motivi finanziari e contrattuali che spingono a far giocare il torneo, tuttavia mi sembra tutto molto complicato. Staremo a vedere».

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