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La concentrazione? Lo studio clamoroso: ormai inferiori ai pesci rossi

Marco Lutzu

La soglia di attenzione di un lettore medio? Appena 15 secondi. A rivelarlo una ricerca svolta da Chartbeat, una delle più autorevoli società globali nel campo dei dati e delle analisi

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La soglia di attenzione di un lettore medio? Appena 15 secondi. Lo rivela una ricerca svolta da Chartbeat, una delle più autorevoli società globali nel campo dei dati e delle analisi, che in un articolo pubblicato sul celebre magazine americano "Time" ha messo sotto i riflettori la reale entità di un problema verso il quale nessuno può dirsi escluso né tanto meno indifferente. Uno studio effettuato dal colosso tecnologico Microsoft è ancora meno ottimista, evidenziando come la nostra capacità di concentrazione sia ormai inferiore a quella di un pesce rosso: appena 8 secondi, uno in meno rispetto all’animale acquatico e domestico per eccellenza. È sempre la multinazionale fondata da Bill Gates a chiarire le cause del vertiginoso abbassamento generalizzato della soglia di attenzione. All’origine di tutto ci sarebbe un cocktail i cui ingredienti principali sono un utilizzo massiccio e multitasking di dispositivi tecnologici e l’inarrestabile flusso di contenuti al quale siamo sottoposti, un vero e proprio bombardamento di informazioni favorito da canali sempre più sofisticati come i social network. Il risultato è proprio l’incapacità diffusa di mantenere alta la soglia d’attenzione, sia per chi legge e altrettanto per chi scrive, con ripercussioni evidenti e dai risvolti complessi anche in ambito commerciale. Le continue evoluzioni degli ultimi anni hanno infatti costretto tutti, in primis le realtà commerciali, a confrontarsi con l’esigenza di sviluppare un nuovo modo di comunicare. Per chi opera online, il problema è più che mai attuale: i dati rilasciati dal noto informatico Jakob Nielsen mostrano chiaramente coma la scelta di utente se lasciare o meno la pagina web sulla quale è approdato avvenga entro i primi dieci secondi; questa nuova dinamica ha reso necessario, da parte delle aziende, affidarsi a figure professionali in grado di captare l’attenzione del lettore sin dalla prima parola. Sì, perché nonostante le modalità comunicative siano molto mutate, ad esempio prediligendo l’aspetto visivo dei contenuti, la parola continua ad essere uno strumento di grande efficacia. Lo dimostrano le scelte di aziende storiche, che hanno deciso di associare all’immediatezza del brand anche quello dello slogan: “Just do it” per Nike, “I’m lovin’ it” per McDonald’s, “Impossibile is nothing” per Adidas e molti altri esempi ancora. Il copywriting, ovvero l’arte persuasiva per mezzo della parola, è ancora la miglior modalità a disposizione delle aziende attive sul web? Secondo Marco Lutzu la risposta è «sì, e con tutta probabilità la parola non perderà mai la sua potenza». Lutzu, il più noto copywriter italiano e autore del manuale di riferimento in materia, “Scrivere per vendere”, aggiunge che «la scrittura non è morta, si è soltanto evoluta adattandosi alle esigenze della nostra società. Non è un caso che, oggi più che mai, la figura del copywriter sia richiestissima dalle aziende di ogni dimensioni e livello, con una concentrazione particolare nelle multinazionali che si servono della parola per veicolare al meglio il proprio messaggio». «C’è una storia – conclude Lutzu – che incarna al meglio questa filosofia: è quella di un copywriter che, per aiutare un mendicante non vedente a riempire il suo capello di monete, modificò il cartello “Sono cieco, aiutatemi per favore” con un ben più efficace “Oggi è primavera e io non posso vederla”».      

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