Regione Lazio, il governatore Rocca: “Da Corviale a Expo, il mio impegno per Roma”
Discrezione e determinazione. Sono le caratteristiche di questi due mesi di governo regionale targato Francesco Rocca, il quale al di là dell’impegno quotidiano sul fronte sanità, per la prima volta dà un segnale forte e chiaro sulla gestione del patrimonio immobiliare che, al pari delle cure mediche, rappresenta non solo una spesa ingente ma anche un criterio di qualità della vita dei cittadini che sposa valori ben precisi.
Presidente Rocca, siamo a due mesi dall’elezione alla guida del Lazio, sorpreso o deluso?
«Deluso assolutamente no! Sono onorato e grato per la fiducia che gli elettori del Lazio hanno voluto attribuire alla mia persona e alla squadra di governo. Sento forte il dovere di ripagarli con il massimo impegno e con tutta la passione di cui sono capace. Sorpreso sì, lo ammetto. Ho avuto modo di conoscere da subito la competenza, la professionalità e lo spirito di abnegazione che animano il personale della Regione. Bisogna sfatare i luoghi comuni: questa Istituzione ha molti professionisti pronti a lavorare senza sosta per il bene comune. Certo, qualche sacca di inefficienza l’abbiamo trovata, specialmente in ambito periferico. Basti pensare alla gestione delle Ater... Ma sono colpito, soprattutto, dalla situazione generale di abbandono, di disamore, di trascuratezza. È mancato il cuore in questa Regione, non le persone competenti. Non c'è stata passione alla sua guida. Ora questo deve cambiare, per sempre».
Tra Regione e Campidoglio il rapporto non è sempre stato idilliaco, eppure il suo primo colloquio con il sindaco Gualtieri sembra aver posto solide basi di collaborazione, giusto?
«Le istituzioni hanno il dovere morale e politico di cooperare nell’interesse dei cittadini. Nel corso dei nostri recenti incontri, con Roberto Gualtieri abbiamo condiviso la necessità di sviluppare un dialogo onesto e franco, un confronto su alcuni temi molto rilevanti per Roma e per il Lazio. Penso, in primo luogo, al Pnrr: la corretta gestione delle risorse e la messa a terra dei progetti saranno fondamentali per far ripartire il nostro territorio.
All’ordine del giorno ci sono dossier strategici che riguardano la Capitale: dalla questione del ciclo dei rifiuti al Giubileo e l’Expo, ad esempio. Anche sul tema dell’inclusione sociale è fondamentale ricercare la massima convergenza. Lo ripeto, il compito di chi governa è, in primis, quello di fornire risposte concrete e non lasciare indietro nessuno».
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Il suo primo concreto intervento su Roma riguarda Corviale, il “Serpentone” costruito a fine anni Settanta e da anni oggetto di una riqualificazione che non è mai partita. La domanda nasce spontanea, perché proprio Corviale?
«Perché Corviale è innanzitutto un simbolo di quel disamore per questo territorio di cui parlavo prima: è certamente la struttura di edilizia popolare più nota per il degrado e l’emarginazione che la attraversano. Dobbiamo cambiare paradigma e modello: perché recludere chi vive una condizione socio-economica sfavorevole in un ghetto? I casermoni grigi di Corviale vanno ripensati, restituendo dignità e voce a chi in questi anni è stato, nella migliore delle ipotesi, ignorato. Ho vissuto con mia nonna in una casa popolare, a Spinaceto. So benissimo cosa significa abitare in un quartiere complesso: i rischi connessi alla spersonalizzazione rappresentano un costo sociale altissimo per l’intera comunità. Ogni cittadino merita dignità, a Corviale non vivono cittadini di serie b e la risposta all’emergenza abitativa non può essere quella di costringere le persone a vivere in un ambiente indecoroso».
La sua idea di demolizione e ricostruzione del Serpentone ricorda tuttavia un progetto simile su Tor Bella Monaca fortemente voluto dall’ex sindaco Gianni Alemanno ma mai realizzato fino in fondo, un precedente “pericoloso” dal punto di vista politico, non trova?
«Dobbiamo distinguere gli interventi in base ai tempi. Nel breve-medio periodo noi interverremo sulla manutenzione ordinaria e straordinaria delle strutture residenziali pubbliche, quindi anche su Corviale. Nel lungo periodo, non certo esauribile in questa legislatura, anche con il Comune si è convenuto di porre fine a un'edilizia popolare che si sviluppi in verticale. Dobbiamo avere il coraggio di guardare all’Europa, penso ad alcune esperienze francesi. Meno casermoni, più città-giardino. La Bellezza non può essere un privilegio di pochi, ma un bene diffuso e collettivo. Corviale è abitato da circa 4.800 persone, una piccola cittadina, ma anche una cattedrale nel deserto che isola e allontana non sarà mai la nostra risposta al disagio sociale. Dobbiamo avere il coraggio divisioni future ambiziose».
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Il Campidoglio, tuttavia, si è detto contrario alla demolizione e ricostruzione. Un ostacolo non da poco, come intende superarlo?
«Il Campidoglio non credo sia contrario, mi auguro che lei si sbagli. Penso sia più corretto dire che pone l’accento su difficoltà oggettive di cui siamo ben consapevoli anche noi in Regione. Ma questo non ci deve fermare. Perciò andrò avanti con gli studi di fattibilità e poi sarà il Comune che, con chiarezza, dovrà dire se scegliere tra il degrado e l'assenza di dignità e bellezza anche per chi si trova costretto a chiedere l’assegnazione di un alloggio popolare. Ma voglio essere ottimista e sono sicuro che troveremo una convergenza. Non deve essere la paura del fallimento a frenarci nell'aspirazione di consegnare abitazioni popolari a misura d’uomo ad ogni cittadino avente diritto. Ribadisco che l’intervento su Corviale deve essere duplice: da una parte, nell’immediato, manutenzione e strutture che consentano una maggior socialità tra gli abitanti: aree verdi, negozi, impianti sportivi, centri culturali dovranno strappare gli inquilini da un isolamento pericoloso per loro stessi e per la collettività. L’ho detto più volte, non voglio buttare giù nulla “tanto per”, sono per costruire e solo poi azzerare le vergogne del passato, abbattendole. Certo è che la nostra amministrazione ingaggerà una lotta senza quartiere verso ogni forma di discriminazione sociale».
Durante la campagna elettorale ha promesso un ripristino della legalità sul delicato tema delle case popolari, c’è chi le occupa in modo del tutto illecito, chi paga affitti bassi pur avendo redditi elevati e in molti casi nessuno sa chi abita davvero negli alloggi. Ha promesso un attento censimento e un rapido ripristino della legalità ma quando?
«Abbiamo avviato, da subito, un’attività di censimento. A brevissimo avremo a disposizione dati completi e aggiornati. Insieme alle forze dell’ordine abbiamo anche svolto un’attività di ricognizione su eventuali infiltrazioni criminali. Lavoreremo per offrire una cornice regolamentare chiara ed efficiente. Penso alle modalità di locazione, alla determinazione del canone, alle cause di decadenza. L’ultimo intervento risale al 1987. Pensi che il canone del Lazio, da allora, è rimasto invariato. Parliamo di una media di 7,50 euro contro una nazionale di 40. Analizzando questi numeri, non sorprendono il dissesto in cui versano le Ater e la scarsa manutenzione degli edifici. Inoltre, stiamo procedendo ad un censimento degli inquilini in base al reddito, incrociando le banche dati del Demanio e dell’Agenzia delle Entrate. L’ultimo aggiornamento, in tal senso, risale al 2003. Abbiamo già individuato persone che vivono in case Ater, pagando fitti bassissimi, pur avendo un reddito certificato superiore alle 200mila euro annue. Assurdo, non trova?».
Sulla gestione del patrimonio il Campidoglio ha intrapreso una strada controversa, con la deroga al Decreto Lupi e con la proposta di acquisto degli immobili occupati. Una visione che può portare a uno scontro con la Regione guidata dal centrodestra, forse anche maggiore di quello che si intravede sulla politica dei rifiuti attuata dalla Capitale con il via libera al termovalorizzatore. Vede possibile un punto di incontro su questa tematica così importante per la tenuta sociale di una metropoli così complessa come quella di Roma?
«Non è una questione di scontro tra istituzioni. Acquistare gli immobili occupati vorrebbe dire sanare comportamenti spesso violenti ed illegali, seppur a volte dettati dalla disperazione. Programmazione, trasparenza nella assegnazione e certezza delle regole sono gli strumenti per ottenere giustizia sociale, non l’assolvere anche in maniera compiaciuta comportamenti illegali. Non ritengo pertanto sia questa la strada da intraprendere, né quella più corretta per risolvere il problema dell’emergenza abitativa a cui bisogna far fronte dando risposte rapide e concrete alle migliaia di famiglie in attesa da tanti anni di un alloggio dignitoso».
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