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Roma, trema la casa del sindaco Gualtieri. Giunta dei veleni in Campidoglio

Claudio Querques
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Il piano casa riveduto e corretto dagli abusivi. La chat scambiata per il luogo istituzionale dove fare concertazione. L’assessore Zevi che si piega ai desiderata del Movimento e fornisce una nuova versione integrata. L’atto sul «diritto di abitare» approvato su whatsapp dai sindacati e dagli occupanti prima che dalla Giunta e dall’Aula Giulio Cesare. L’elenco delle "anomalie" è talmente lungo e articolato che per la maggioranza capitolina trovare una via d’uscita, un modo per salvare la faccia, è tutt’altro che facile.

A parole nel Partito democratico e dintorni tutti dicono «facciamo quadrato». Nei fatti nessuno vuole immolarsi per salvare "il soldato Tobia". Se in via ufficiale i dem si dicono stupefatti per quelle accuse «surreali e fuoriluogo», dietro le quinte lo stupore si trasforma in sconcerto. La lettura della chat, messaggio dopo messagio, è la cartina di tornasole di un rapporto di sudditanza. I più arrabbiati fanno parte della componente legata a Elly Schlein, l’ex minoranza che ora vorrebbe contare di più in Campidoglio e che già da qualche giorno aveva iniziato a premere forte. Più che un incidente di percorso, il "caso-Zevi" può trasformarsi dunque nel grimaldello per scardinare quel bunker bonacciniano in cui si è arroccato Gualtieri (che dopo 24 lunghissime ore di silenzio ieri è sceso in campo per difendere l’operato di Zevi). La Schlein aveva chiesto un cambio di passo. Insistito sulla necessità di essere più coinvolti nelle amministrazioni delle città governate dal Pd. Con esplicito riferimento al Campidoglio.

 

 

 

 

Zevi, che ha preso la tessera del partito alla vigilia delle Primarie, bonacciniano dichiarato, legato in passato sia a Gentiloni che a Zingaretti, era in discussione molto prima di commettere quella che al Nazareno è stata derubricata nella migliore delle ipotesi come «una grave leggerezza» e nella peggiore «come un esempio di scellerato e scomposto consociativismo». La contrattazione via chat con il capo degli occupanti Luca Fagiano, la richiesta telefonica di «svolta radicale», la bozza della delibera diffusa in anteprima, gettano una luce inquietante sul prezzo da pagare al radicalismo dei nuovi e vecchi alleati. E c’è persino chi insinua che dietro la diffusione della chat ci sia una manina, uno sgarbo tra correnti dem per accelerare il rimpasto della giunta. Veleni che circolano liberamente, insomma. La capogruppo Valeria Baglio è presa d’assedio. Le poltrone di Monica Lucarelli, assessora alle Attività produttive e alle Pari opportunità. E di Barbara Funari, assessora alle Politiche sociali, in quota Demos, traballano. Entrambe difendono Zevi sostenendo che il confronto è alla base della democrazia ma chissà se lo pensano davvero. Il centrodestra compatto attacca. E il M5S si accoda.

E gli altri dem? Per lo più sussurrano, dicono ma non dicono. «Serve una svolta, così non si può più andare avanti, è uno stallo che dura da troppo tempo», sostiene un esponente dem legato alla Schlein che «per il momento» preferisce non essere citato. E aggiunge: «Ci sono 48 delibere bloccate perché tutte le volte manca il numero legale». La Casa è al centro di tutti i programmi portati avanti dal nuovo corso dem. Progetti che languono (leggasi Ex Mattatoio, ex Mercati generali) e altri che vanno a passo di lumaca e rischiano di andare in malora. I nuovi entrati di Art.1 che sgomitano e chiedono spazio e, alla luce di certe frequentazioni, sembrano un cattivo presagio. Le preoccupazioni della nuova leadership del Nazareno che si stanno fatalmente avverando. Il timore che l’immobilismo sia una forma di contagio, una sindrome che colpisce chiunque si affacci con la fascia tricolore da quel balconcino con vista sui Fori.
 

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