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Covid e guerra, in 3 anni chiusi a Roma 20mila negozi

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Francesca Mariani
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«Con il Covid nel Lazio hanno chiuso oltre 20 mila esercizi commerciali. I negozi hanno subito la crisi causata dalla pandemia e poi dagli eventi bellici che hanno riguardato l’Ucraina con il conseguente rincaro dell’elettricità».

Questo il pesantissimo bilancio tirato dal presidente di Confesercenti Roma, Valter Giammaria, sulle continue chiusure di negozi che si sono registrate dal centro alla periferia della Capitale, nel resto della provincia e della regione. L’ultimo caso in ordine di tempo è stato l’annuncio della chiusura della libreria Odradek, in via dei Banchi Vecchi, colpita dalla crisi economica dopo 25 anni di attività.

«In via Nazionale, una delle strade dello shopping romano - ha spiegato Giammaria - ci sono ancora tra i 25 e 30 negozi chiusi. Non esiste un settore prevalente quando si parla di crisi: passiamo dalle librerie, colpite soprattutto dalla politica delle vendite online, ai negozi di abbigliamento, fino ad arrivare agli alimentari». «Una delle cause delle chiusure è il calo dei consumi - ha spiegato ancora il presidente di Confesercenti Roma, Giammaria - l’aumento dei costi energetici e l’inflazione hanno portato ad una crisi generalizzata. Indubbiamente una ripresa nell’ultimo anno c’è stata, rispetto al 2020-21. Ma molti settori come l’abbigliamento, le calzature, l’intimo, il piccolo commerciante di alimentari, non reggono all’aumento delle spese». Ed è per questo necessaria «una politica più incisiva con una fiscalità diversa. È ovvio che con una fiscalità del 50 o 55% non si riesce a pagare i costi. Basti pensare che gli affitti non sono mai diminuiti».

L’unica fortuna, per una città come Roma, è la presenza dei turisti, soprattutto stranieri e «quest’anno - ha aggiunto Giammaria - abbiamo avuto più turisti di quanto si era previsto e questo ha portato imprese di alcuni settori a reggere la crisi. L’augurio è che nel 2023 ci sia una politica diversa e che ci sia una ripresa. Occorre anche intervenire sull’online perché se alcune piattaforme di e-commerce non pagano le tasse in Italia è chiaro che sono avvantaggiate rispetto al cosiddetto commercio di vicinato». E a proposito di commercio di vicinato, una sorpresa arriva dalle cosiddette botteghe storiche, che sempre secondo i dati Confesercenti, sembrerebbero reggere meglio di altre. Il perché lo spiega Giulio Anticoli, presidente dell’associazione botteghe storiche di Roma: «Le attività storiche che chiudono sono perlopiù quelle che non hanno un cambio generazionale e che, quindi, in un momento di crisi non avendo successori decidono di chiudere. Oggi - ha proseguito Anticoli - stanno affrontando il rientro del Fondo di garanzia. I soldi che sono stati prestati per l’emergenza devono ora essere restituiti e chi non ce la fa ed è costretto a chiudere».

 

 

 

Altri problemi interessano, invece, i locali pubblici e le discoteche della Capitale, proprio in queste ore impegnati ad organizzare i festeggiamenti per la serata dell’ultimo dell’anno. «La serata di Capodanno per noi è una delle più importanti dell’anno - conferma Antonio Flamini, presidente di Silb Roma - abbiamo notato finora che le prenotazioni sono lente rispetto al passato. I dati ci dicono però che c’è un afflusso turistico importante e non è escluso che molti vadano direttamente ai botteghini delle discoteche la sera di San Silvestro». Per il settore della "notte" «l’attività è ripresa e si sta recuperando lentamente - ha spiegato Flamini - Ci sono altri problemi però, uno di questi è rappresentato dalla mancanza di personale».
 

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