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Rischio scissione nel Pd. Zingaretti scarica D'Amato e scatta la resa dei conti

Susanna Novelli
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Sale la tensione in casa Pd, dove stavolta il vento di scissione soffia più forte che mai. Sul tavolo ovviamente le regionali, ultimo porto per un partito sbiadito dalle lotte interne e da un elettorato sempre più distante. Non aiuta il balletto delle dimissioni del governatore uscente. Nicola Zingaretti, eletto alla Camera dei Deputati il 25 settembre, è ancora al suo posto. Ha legato le sue dimissioni al voto di un «collegato» al Bilancio ritenuto essenziale per chiudere la legislatura e che domani andrà in Consiglio regionale per la discussione e votazione finale. Indiscrezioni non smentite poi indicherebbero un ulteriore slittamento dell'addio definitivo alla guida del Lazio da parte di Zingaretti al 10 novembre, dopo la relazione annuale della Corte dei conti. Nel mezzo la «caccia» a un candidato che sappia sintetizzare forze politiche disomogenee - Pd, M5s, Terzo polo e sinistra - soprattutto riguardo ad alcune, essenziali, tematiche: rifiuti e termovalorizzatore in primis. Di venerdì l'incontro al Nazareno del segretario regionale dem Bruno Astorre, Nicola Zingaretti e Enrico Letta, durante il quale è stato sentito anche il sindaco Roberto Gualtieri. L'esito assai deludente. Di fatto un appello ai Cinquestelle a decidere il da farsi.

 

 

Poco prima tuttavia uno scontro al vetriolo tra Zingaretti e il leader di Azione, Roberto Calenda. Quest' ultimo infatti aveva fatto l'endorsment sul candidato in campo, Alessio D'Amato, respinto invece al mittente proprio dal governatore che pure lo ha scelto come assessore alla Sanità cinque anni fa e nominato commissario straordinario per la lotta al Covid. Una mossa che non è piaciuta affatto a Base Riformista, l'ala più centrista del Pd, uscita a pezzi dalle scelte delle candidature alle elezioni nazionali. «D'Amato è in corsa per la presidenza della Regione ormai da giugno scorso ma il governatore del Lazio fa finta di non saperlo insinuando che sia un nome inventato da Calenda. Tutto ciò- dice il coordinatore Mario Mei - non è solo umiliante per D'Amato ma anche per lo stesso Zingaretti che dimentica l'importantissimo ruolo affidato a D'Amato ed il fatto che si tratti dell'uomo migliore e più noto della sua Giunta». Poi il messaggio più importante e delicato affidato a una nota congiunta dei dirigenti di Base Riformista: «Ci chiediamo che senso abbia avuto sciogliere DS e Margherita per costruire un Partito ridottosi oggi alla subalternità nei confronti di Conte e del M5S. È inspiegabile l'atteggiamento di un Presidente che non rivendica il lavoro della propria Giunta così come è incomprensibile il tentativo neppure tanto velato di chi attraverso complicate alchimie politiche tenta di indebolire il lavoro del Sindaco Gualtieri con singolari ambiguità sulla scelta della realizzazione del termovalorizzatore a Roma. A questo punto riteniamo urgente un intervento del Partito nazionale sulle questioni regionali visto che al voto andranno le due che occupano posti assai rilevanti nel panorama politico, economico e sociale del Paese».

 

 

A margine della manifestazione per la pace del Terzo Polo a Milano, Matteo Renzi ha dichiarato: «Per quello che mi riguarda trovo particolarmente interessante che ci sia una candidatura proveniente dal centrodestra in Lombardia (Letizia Moratti ndr) e una proveniente dal centrosinistra nel Lazio (Alessio D'Amato ndr). Due candidature che danno il senso di un'operazione riformista». Un riformismo che tiene fuori dalla porta i dem, da 10 anni alla guida del Lazio e stavolta forse costretti allo stop al capolinea.

 

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