Termovalorizzatore e Pd, le nuove grane di Roberto Gualtieri
Dal Campidoglio alla Pisana, volti scuri in casa Pd. Il risultato delle elezioni nella Capitale infatti hanno acceso i riflettori su un cono d'ombra del partito romano all'angolo da tempo. Un anno fa l'elezione di Roberto Gualtieri a sindaco, dopo cinque anni di panchina, avrebbe dovuto creare un nuovo equilibrio in grado di rafforzare, rinnovandolo, il primo partito, fino a domenica scorsa, della Capitale. Le avvisaglie del resto c'erano state già nella scelta dei candidati, in primis con la «condanna a morte» delle uscenti Patrizia Prestipino e Monica Cirinnà. Poi il «caso Ruberti» che, fede calcistica a parte, ha lanciato messaggi ancor più chiari. Le urne poi hanno fatto il resto, sancendo una crisi assai pericolosa perché riversata su un doppio binario, quello del Campidoglio e quello della Regione Lazio.
Campidoglio innanzitutto, con un partito romano in frantumi e il governo di centrodestra a Palazzo Chigi, qualche preoccupazione a Palazzo Senatorio è a dir poco fondata. Troppi, e troppo importanti, i traguardi da raggiungere. Il termovalorizzatore, i fondi del Pnrr, il Giubileo, la candidatura Expo 2030. In altre parole un'occasione irripetibile per portare la Capitale, finalmente, nel Terzo millennio a livello di rifiuti, trasporti, infrastrutture, servizi. Lo sa bene il sindaco Gualtieri che ammette: «È stata una sconfitta pesante per il centrosinistra e per il Pd che quindi ci deve imporre, per noi a Roma, di lavorare ancora con maggiore impegno per il nostro programma, il nostro piano di trasformazione della città».
Per quanto riguarda poi le aspettative «come sindaco ho il dovere di dialogare con tutte le istituzioni. Quindi mi aspetto che il nuovo governo prosegua il lavoro che i governi precedenti hanno fatto di sostegno e supporto a Roma su tutte le principali questioni: il trasporto pubblico, il caro energia, gli investimenti, il Giubileo, l'Expo e il Pnrr. Come sindaco - ha concluso Gualtieri mi aspetto attenzione per Roma da parte del nuovo governo e noi la chiederemo». In ballo c'è molto, oltre ai finanziamenti anche quei poteri speciali attesi da tempo e da sempre - a onor del vero caldeggiati dal centrodestra.
E se la strada che congiunge il nuovo governo al Campidoglio è tutto sommato in piano, ben più tormentata è quella verso le regionali. Sono attese già nei prossimi giorni le dimissioni formali di Nicola Zingaretti eletto alla Camera dei Deputati per indire le elezioni nella forbice temporale che va da dicembre ai primi di febbraio. Il centrodestra, ovviamente, punta al voto il prima possibile, per calvalcare l'onda del successo, frena invece il Pd che già da oggi ha in programma un lungo confronto sull'analisi del voto. Si comincia con la convocazione della segreteria, poi l'incontro della direzione, ancora le riunioni dei consiglieri capitolini e della Città metropolitana. Una resa dei conti insomma che dovrebbe portare, in tempi relativamente brevi, a decisioni importanti, a cominciare dall'indizione o no delle primarie per il candidato presidente. Voto alla mano, il Pd parte in netto svantaggio. Ma con il «campo largo», puntualmente evocato da Goffredo Bettini, il centrosinistra potrebbe mantenere il governo della Regione Lazio. I Cinquestelle infatti con una media del 14% dei consensi è il terzo partito. Alla Pisana i grillini sono già parte della giunta Zingaretti ma proporre una nuova alleanza significa dare, almeno, la vicepresidenza al partito di Conte. Con ripercussioni dirette in Campidoglio dove il 2023 sarà l'anno decisivo per l'avvio concreto della realizzazione del termovalorizzatore.