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Roma, scrutatori all'Atac. La corsa al seggio diventa un caso

Claudio Querques
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La fuga dal volante degli autisti dell’Atac diventa un «caso». Sindacale, politico ma anche psicologico vista la valanga di richieste inoltrate all’azienda romana dai conducenti pronti a scendere da bus e metropolitane per partecipare allo spoglio elettorale di domenica prossima. Richieste che hanno trovato l’azienda impreparata. Se accolte avrebbero comportato l’assenza di 1299 dipendenti, per lo più aspiranti rappresentanti di lista. Una fuga di massa con in palio, oltre alla domenica elettorale, altri 2 giorni di permesso. Ovvero la semi-paralisi dei trasporti. Per correre ai ripari l’Atac ha dato via libera solo ai 40 che si sono candidati per fare gli scrutatori e ad altri 30 presidenti di seggio. Decisione che ha fatto discutere e sollevato le proteste dell’opposizione capitolina.

Dell’Atac e dei suoi conducenti si è molto parlato negli ultimi tempi. Quasi mai purtroppo per esaltarne la deontologia professionale. L’autista dell’881 sospeso perché guarda la partita sul telefonino e frena ad ogni gol della Lazio. L’altro che posta il video in cui si masturba mentre guida, e così via. Una narrazione che riguarda casi singoli ma finisce per offendere l’intera categoria. Ed ecco che all’improvviso irrompe l’altro profilo, quello che non t’aspetti. L’autista militante.

E sì mentre i sondaggi parlano di ulteriore crescita dell’astensionismo e disaffezione per la politica, gli autisti Atac vanno in controtendenza. In 915 - cioè uno su sei - hanno fatto domanda per partecipare a vari titolo al turno elettorale. Dire che il direttore generale di Atac Alberto Zorzan sia stato preso in contropiede è poco. Senza più tempo per riorganizzare i turni, il dg ha preso carte penna e scritto all’assessore alla Mobilità, Eugenio Patané, al sindaco Roberto Gualtieri e al prefetto Matteo Piantedosi spiegando che la concessione dei permessi comporterebbe l’assenza dei lavoratori interessati non solo per i giorni strettamente interessati dalle operazioni elettorali ma anche per ulteriori giorni di assenza, al fine di «garantire il recupero delle giornate di riposo del personale impegnato nei seggi». Da qui il deciso «no» e l’istanza approvata soltanto per 70 richiedenti. A tutti gli altri è stata inviata una comunicazione dicendo che l’accoglimento della domanda avrebbe compromesso l’erogazione del servizio pubblico e dunque «il diritto alla mobilità costituzionalmente garantito alla cittadinanza».

 

 

 

Una risposta che non poteva non suscitare la reazione dei consiglieri di opposizione. «La legge non ammette ignoranza, tantomeno giochetti politici, ma sembra che i vertici Atac siano dei maestri in questo - ha spiegato in una nota Marco di Stefano, capogruppo Udc-Forza Italia e capolista per il collegio plurinominale 1 Lazio 1 - . La legge 53 del 1990, e la legge n. 69 del 1992, parlano chiaro: i permessi elettorali debbono essere concessi ai lavoratori pubblici e privati chiamati ad assumere i seguenti ruoli nei seggi: presidente di seggio, segretario, scrutatore, rappresentante di lista, di gruppo, di partito, componente dei comitati promotori in caso di referendum». E ancora, con esplicito invito a correre ai ripari: «Il presidente e il Cda dell’azienda provvedano a gestire quanto avrebbero dovuto già aver programmato in vista delle elezioni di domenica». Ma l’Atac non tornerà indietro, per gli autisti la prossima fermata non sarà al seggio.
 

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