La Cassazione: "Una parte del Campidoglio si è consegnata agli interessi di Buzzi e Carminati"
A Roma, ai tempi dell'organizzazione denominata "Mafia Capitale", c'era un sistema «gravemente inquinato, non dalla paura, ma dal mercimonio della pubblica funzione». La spartizione degli appalti non era dettata da una logica intimidatoria, ma da una «collusione generalizzata, diffusa e sistemica». Per questo la sesta sezione penale della Cassazione ha escluso il carattere mafioso dell’associazione contestata al ras delle cooperative "rosse" Salvatore Buzzi .e all'estremista "nero" Massimo Carminati. Per la Suprema Corte «non si può negare che sul territorio del comune di Roma possano esistere fenomeni criminali mafiosi», ma sicuramente quella di Buzzi e Carminati non è classificabile come mafia.
«Quello che è stato accertato - sottolineano i giudici nelle motivazioni della sentenza depositate oggi - è un fenomeno di collusione generalizzata, diffusa e sistemica, il cui fulcro era costituito dall’associazione criminosa che gestiva gli interessi delle cooperative di Buzzi attraverso meccanismi di spartizione nella gestione degli appalti del Comune di Roma e degli enti che a questo facevano capo. Ciò ha portato alla svalutazione del pubblico interesse, sacrificato a logiche di accaparramento a vantaggio di privati. Il quadro complessivo riporta un "sistema" gravemente inquinato, non dalla paura, ma dal mercimonio della pubblica funzione. Una parte dell’amministrazione comunale si è di fatto "consegnata" agli interessi del gruppo criminale che ha trovato un terreno fertile da coltivare».
«I fatti "raccontano" anche di imprenditori che hanno accettato una logica professata da Buzzi e dai suoi sodali, basata sugli accordi corruttivi, intercorsi tra funzionari pubblici e imprenditori, convergenti verso reciproci vantaggi economici. In questo modo si è limitata la libera concorrenza e ciò è avvenuto attraverso forme di corruzione sistematica, non precedute da alcun metodo intimidativo mafioso - precisa la Cassazione - Alla fine è stata confermata la responsabilità penale di quasi tutti gli imputati per una serie di gravi reati contro la pubblica amministrazione, oltre che per la partecipazione alle associazioni criminali, ribadendo sotto questi profili le precedenti decisioni di merito».
«La Corte ha escluso il carattere mafioso dell’associazione contestata agli imputati e ha riaffermato - si legge nella sentenza - l’esistenza, già ritenuta nel processo di primo grado, di due distinte associazioni per delinquere semplici: l’una dedita prevalentemente a reati di estorsione, l’altra facente capo a Buzzi e Carminati, impegnata in una continua attività di corruzione nei confronti di funzionari e politici gravitanti nell’amministrazione comunale romana ovvero in enti a questa collegati». «La Corte, senza affatto negare che sul territorio del comune di Roma possano esistere fenomeni criminali mafiosi, ha spiegato che i risultati probatori hanno portato a negare l’esistenza di una associazione per delinquere di stampo mafioso: non sono stati infatti evidenziati né l’utilizzo del metodo mafioso, né l’esistenza del conseguente assoggettamento omertoso ed è stato escluso che l’associazione possedesse una propria e autonoma "fama" criminale mafiosa».
«Cassazione conferma che #mondodimezzo si spartiva gli appalti a Roma grazie a una "collusione generalizzata" con la politica. Confermata anche presenza clan sul territorio. Noi abbiamo invertito rotta, contro corruzione e mafia, sempre a fianco dei cittadini onesti». Lo ha scritto su Twitter il sindaco di Roma, Virginia Raggi, commentando le motivazioni sulla sentenza di terzo grado del processo "Mondo di Mezzo". «Qualcuno obietterà che però non viene riconosciuta l’associazione mafiosa per l’organizzazione di Buzzi e Carminati. È vero ma ciò non vuol dire che a Roma non esista la mafia», precisa in un post su Facebook il presidente della Commissione parlamentare Antimafia Nicola Morra.
«Appare evidente, dalla semplice lettura della sentenza di secondo grado, che non risulta affatto il ruolo di Carminati quale terminale di relazioni criminali con altri gruppi mafiosi. Nessun ruolo era gestito da Carminati con settori finanziari, servizi segreti o altro - precisano i giudici di piazza Cavour - la gestione delle relazioni con gli amministratori era compito quasi esclusivo di Buzzi. Avendo Carminati relazione i determinanti solo con alcuni ex commilitoni nella medesima area politica di estrema destra che, in un dato periodo, erano stati inseriti nell’amministrazione comunale. Nel processo, peraltro, emerge la non conoscenza tra Carminati e Panzironi, pur valorizzata nella fase cautelare in relazione all’esigenza di Buzzi, che era collegato politicamente all’area di sinistra, di ottenere entrature con l’area di destra che nel dato periodo era giunta ad amministrare la città di Roma». «Il vero errore della corte di Appello era di avere preso per buona la ricostruzione della fase cautelare - commenta l'avvocato Cesare Placanica, difensore di Carminati - La vera lezione, per tutti, anche per l’opinione pubblica, è di non considerare oro colato le ordinanze cautelari, crocifiggendo dei cittadini, perché spesso, come in questo caso, sono smentite dai processi».