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L'allarme degli infermieri: solo al San Camillo 150 casi tra positivi e sospetti

Infermiere si proteggono dal Coronavirus con i sacchi dell'immondizia

Stefano Barone, Nursind Roma: ai politici mascherine, noi coi sacchi

Mary Tagliazucchi
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di Mary Tagliazucchi

Un ignobile atto, è stato compiuto all’interno dell’ospedale San Camillo di Roma nella notte del 1 aprile quando ignoti, dopo aver fatto irruzione nella struttura, hanno danneggiato alcune apparecchiature. Apparecchiature che, guarda caso, erano proprio quelle dislocate nel laboratorio allestito appositamente per effettuare i test sui contagiati da Covid-19. Di questo e dell’emergenza sanitaria in atto abbiamo parlato con Stefano Barone, segretario provinciale del sindacato delle professioni infermieristiche Nursind di Roma nonché operatore sanitario in prima linea. Un atto vergognoso. Cosa pensa al riguardo? "Più che un attacco al sistema sanitario regionale penso che sia un attacco verso i lavoratori stessi. Quel laboratorio infatti sta per diventare una parte estesa per effettuare i tamponi, non solo ai pazienti,ma anche al personale sanitario che li ha richiesti da tempo". Facendo un calcolo approssimativo, quanti operatori sono risultati positivi al Covid-19 all’interno dell’ospedale San Camillo? "Che io sappia almeno 150 persone (tra colleghi positivi e colleghi in sorveglianza). Alcuni sono in quarantena preventiva perché venuti a contatto con una persona positiva. Gli altri sono sotto stretto monitoraggio sanitario. Proprio ora mi ha scritto un messaggio una collega che dice: “Ho tutti i sintomi classici del Covid-19. Ti sembra normale che noi operatori non abbiamo un contatto preferenziale per il tampone". Molti di voi lamentano proprio la mancanza di dispositivi di sicurezza. E’ ancora così la situazione? "Fin dall’inizio dell’emergenza abbiamo cercato di far capire l’importanza di tutelare medici e infermieri con dispositivi di sicurezza. Ad oggi stiamo ancora con una mascherina a testa (a turno),su dodici ore di lavoro.Non a caso nei prossimi giorni invieremo un esposto alla procura per la mancata fornitura di dispositivi di protezione individuali idonei a prevenire il rischio di contagio da Covid-19. La mancata formazione del personale e la mancata sorveglianza sanitaria in capo al  personale coinvolto nell’emergenza". E per quanto riguarda gli agognati tamponi? "Molte aziende ospedaliere hanno cominciato a fare i tamponi dopo alcuni casi di positività nei reparti. E’ un sistema di prevenzione a ‘macchia di leopardo’ che ancora non si è esteso su tutte le strutture e che al momento risulta inefficace". A Vo, comune veneto però sono riusciti ad arginare il diffondersi del virus. Perché? "A Vo è stata adottata una strategia vincente: contenimento e sorveglianza sanitaria domiciliare su tutto il territorio. A raggi concentrici hanno fatto i tamponi a tutti. Questo ha ridotto notevolmente il contagio. Lo stesso metodo lo sta ora adottando in alcuni comuni l'Emilia Romagna. Cosa aspettano a farlo anche qui, nel territorio laziale? Tanto più che i focolai su Roma si stanno verificando anche all'interno degli ospedali".  Forse perché ad oggi mancano i tamponi e di fatto non sono ancora reperibili per tutti? "Questa cosa è un mistero. Se è per una questione di costi, sapere che si risparmia su una cosa basilare come questa, in un periodo di massima  emergenza,sarebbe davvero triste. Come organizzazione sindacale stiamo chiedendo i tamponi per tutto il personale sanitario. La mancanza poi di dispositivi di protezione come le mascherine FFP2 e FFP3 dimostra la realtà che vive ora il sistema sanitario nazionale. Questo denota un fatto a dir poco increscioso sulle nostre condizioni lavorative". Casi positivi asintomatici fra il personale sanitario posso creare nei reparti focolai del virus? "Sì ed è proprio questo che denunciamo da tempo. Ci sono operatori che si sono messi sacchi dell’immondizia addosso per non contaminarsi e non contaminare i pazienti. Siamo al limite dell’assurdo. L’ospedale deve essere un posto sicuro per il paziente e non un luogo dove c’è la probabilità di infettarsi. Il sistema sanitario italiano ‘viaggia’ alla giornata e siamo tutti in difficoltà. Dopo due giorni di emergenza eravamo già in affanno". Rispetto alla Lombardia però la curva dei contagi è stata inferiore. "Questo perché su Roma abbiamo avuto due settimane di anticipo, e, vedendo cosa stava accadendo nei comuni della Lombardia, abbiamo sin da subito chiesto di mettere in campo tutte le azioni atte a limitare la diffusione del virus. Siamo stati salvati anche dai celeri provvedimenti del Governo. Rimanere in casa questi 15 giorni ha evitato un picco maggiore dei contagi. Ma in quanto organizzazione c’è ancora molto da fare. C’è un’organizzazione distonica nelle strutture ospedaliere sia per quanto riguarda la prevenzione, i reparti covid-19, quelli del pronto soccorso etc.". La prevenzione scarseggia nonostante sia basilare per voi. "L’umiliazione più grande per i professionisti del settore come me che lottano contro questo virus, è vedere mascherine Ffp2 e Ffp3 indosso a politici, vip e calciatori. Un paradosso per chi, in prima linea, ancora ne è sprovvisto e suda sette camice per farsi fare un tampone e gli viene data una mascherina a turno! Non vogliamo lodi. Vogliamo lavorare in sicurezza sia per noi stessi che per i pazienti e le nostre famiglie. Con i reparti al collasso ho sentito di persone che sono rimaste fino alle 4 di notte nell’ambulanza dopo aver fatto il tampone e in attesa di sapere se essere ricoverati o meno".  C’è preoccupazione fra i medici e operatori? "Lo stesso è a livelli altissimi. E non è solo nei reparti Covid-19 ma anche in quei reparti dove magari non indossi le protezioni ma magari ti capita un paziente positivo al virus ma asintomatico e tu sei lì con l’ansia di contagiarti. Nel dubbio  e non potendo fare il tampone, tanti colleghi sono stati costretti ad isolarsi dalle loro famiglie nel dubbio. Coprire due turni inoltre per noi era la norma anche prima per via dei tagli alla sanità. Abbiamo attivato uno sportello di ascolto dove due dottoresse rispondono alle domande e ascoltano gli sfoghi degli operatori". Già nel 2018 in una precedente intervista parlava proprio della sanità al collasso: mancanza di posti letto, liste d’attesa infinite, turni logoranti e continui tagli del personale. Oggi la situazione presenta il conto? "Esatto. La realtà che stiamo vivendo oggi è proprio ‘il picco’ di quei ‘sintomi’ che denunciavamo allora. Speriamo che le parole di omaggio al personale medico e infermieristico di oggi diventino fatti domani e non siano solo parole del momento. C’è bisogno di un vero rilancio della sanità italiana. Se non ora, quando?"

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