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Diabolik-Bennato, un filo rosso-sangue tra due delitti

Valeria Di Corrado
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Un filo rosso, di sangue, collegherebbe l’omicidio di Fabrizio Piscitelli, l’ex leader degli Irriducibili della Lazio freddato il 7 agosto nel parco degli Acquedotti, con il tentato omicidio di Leandro Bennato, 41 anni, colpito giovedì della scorsa settimana mentre era in macchina, fermo nel traffico di via di Boccea, dai proiettili del revolver di due uomini in moto. È una delle ipotesi investigative che stanno seguendo gli inquirenti della Procura di Roma per cercare di dare un nome al killer, travestito da «runner», che aveva attraversato via Lemonia fingendo di fare jogging e poi aveva sparato un colpo dietro la nuca di Diabolik. Non è un caso se il fascicolo sulla sparatoria del 14 novembre scorso - eseguita goffamente da due motociclisti con caschi neri integrali e giubbotti scuri, poi fuggiti su via Boccea - sia stato co-assegnato al pm Nadia Plastina, che indaga anche sull’omicidio dell’ex capo ultrà. Il sospetto è che chi ha cercato di uccidere Leandro Bennato, si sia voluto vendicare dell’esecuzione di Piscitelli, ritenendo - forse - che il primo fosse coinvolto nel delitto del secondo. Se così fosse, significherebbe che in città si è innescata una guerra tra bande, dovuta molto probabilmente alla spartizione delle piazze di spaccio di droga, e che altro sangue potrebbbe presto tornare a scorrere. «Non conosciamo affatto alcun nominativo indicato nei giorni scorsi negli articoli dei quotidiani, né abbiamo elementi per ipotizzare i possibili autori dell’omicidio», hanno precisato all’Adnkronos i genitori, il fratello e la sorella di Fabrizio Piscitelli. «Ci adopereremo sempre nelle sedi legali opportune per difendere la memoria di nostro figlio da ogni menzogna o stortura della realtà», hanno spiegato i genitori di Diabolik, che poi hanno lanciato un vero e proprio appello: «Notiamo troppo spesso che viene genericamente utilizzato il termine "i familiari" anche quando noi siamo completamente al di fuori delle conoscenze o delle dinamiche comportamentali di altri. Tutto ciò, nel rispetto della riservatezza verso chi, come noi, ha scelto sin dall’inizio di chiudersi nel proprio dolore attendendo che la giustizia faccia il suo corso».

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