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Armata BrancaMeloni per cercare di abbattere il governo
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M la bugiarda del secolo, in contrapposizione a un altro M, l’uomo del secolo. La «creatività» dei deputati Pd che ricorrono alla fortunata serie di Antonio Scurati, per fare quello che in gergo si definisce «filotto». La classica candelina sulla torta al termine di una due giorni che ha «eccitato» gli animi della gauche. Dopo mesi di tentativi andati a vuoto, la brezza di un qualche spiraglio: Giorgia Meloni che riceve una comunicazione di iscrizione nel registro degli indagati, insieme a due suoi ministri, il Guardasigilli Carlo Nordio ed il titolare dell’Interno Matteo Piantedosi. E dire che ci hanno provato in tutti i modi. Ricorrendo abitualmente alla voce «amica» o sfruttando in ogni modo l’improvvisa mobilità dei giudici. Così il caso Almasri è solo l’ultimo di una sequenza già abbastanza lunga. Seguendo il filo di una «narrazione» insistente, per quanto particolarmente fantasiosa: «Azzanna» la Presidente del Consiglio, soprattutto se non sei in grado di contrastarla politicamente. Un senso che Roberto Saviano riesce a trasmettere perfettamente in un lungo video, una sorta di «spiegone». Lo scrittore campano sente l’aria delle «grandi» occasioni, quindi pontifica: «Giorgia Meloni è sotto estorsione. È sotto estorsione perché sa benissimo di essere alleata ai cartelli criminali libici. E Giorgia Meloni quindi risponde all'avviso di garanzia aggredendo il procuratore». A ruota l’eurodeputata di Avs Ilaria Salis, che ci mette del suo: «Trovo sconcertante sentire Meloni affermare che l'Italia diventa un paese migliore quando un trafficante e torturatore viene aiutato a farla franca. Questa affermazione rivela molto sulla visione del mondo di questa destra. Un governo con un minimo di integrità morale, dopo un'operazione tanto infame, dovrebbe dimettersi all'istante».
Prima del torturatore libico, Pd e campo largo avevano tentato di creare altri casi: a partire dal protocollo Italia-Albania, firmato nel novembre dello scorso anno. Il Nazareno era andato subito alla carica: «Meloni forza la mano e continua con la deportazione di migranti in Albania. Calpesta le sentenze dei giudici, schiaccia il diritto d’asilo, ignora i pronunciamenti della Corte UE. Un pasticcio normativo, il governo si fermi», tuonò l’eurodeputato Alessandro Zan. Stessa miscela, la sezione immigrazione del Tribunale di Roma sospende il trattenimento, le minoranze approfittano del varco. Un po’ quello che avevano sperato con Matteo Salvini, imputato al processo Open Arms. Una fine infausta, fatica sprecata, perché alla fine il ministro della Lega venne assolto, «il fatto non sussiste». Amarezza e delusione, ma nell’aria c’è già la «causa» scatenante, bisogna rianimarsi in fretta. Arriva l’indicibile, ovvero l’approvazione in prima lettura della riforma Nordio, la separazione delle carriere dei magistrati. In pratica il «vulnus» che si attendeva impazienti, la miccia che innesca l’esplosione. Ed è subito «spettacolo»: l’Associazione nazionale magistrati si «scatena» tra gli applausi del campo largo. Giudici con la Costituzione in mano, e tutti fuori dall’aula, quando parla un rappresentante del governo, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, fuochi d’artificio. Con Nicola Fratoianni che si improvvisa «sindacalista» delle toghe: «La separazione delle carriere serve a limitare l’autonomia della magistratura e ad assoggettarla al potere politico. Insomma il sogno di Berlusconi che si avvera ma un passo indietro per la qualità della giustizia per i cittadini in questo Paese». Per l’occasione, il Pd perde anche la memoria. Sei anni fa, durante il congresso del 2019, molti parlamentari dem sottoscrissero la mozione di Maurizio Martina, all’epoca sfidante di Nicola Zingaretti, «Il tema della separazione delle carriere appare ineludibile per garantire un giudice terzo e imparziale». Firme importanti, come quella dell’attuale responsabile giustizia Debora Serracchiani. Che oggi evidentemente ha cambiato idea, e dice: «Il governo ha imposto una riforma punitiva e blindata». Da ineludibile a punitiva, ovvero il momento Fiorella Mannoia, «come si cambia per ricominciare».
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