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Caso Meloni, l'Anm e la sua "lotta di casta"
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A colpi di “atti dovuti” e di plateali proteste durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario, l'ANM (Associazione Nazionale Magistrati) rinnova pervicacemente la tradizione di lotta, ormai ultra trentennale, che contrappone l'elemento burocratico dello Stato a quello politico. A nostro avviso le origini dello scontro a cui, da italiani, abbiamo assistito in tutti questi anni risiedono nella percezione che l'ANM ha del ruolo e delle funzioni dell'ordine giudiziario in relazione al funzionamento dello Stato. Non solo tali convincimenti si evincono quotidianamente dall'operato di molti magistrati e dalle dichiarazioni conseguenti dell'Associazione che li tutela, ma anche leggendo lo stesso statuto di quest'ultima non possiamo non rilevare alcune (chiamiamole) ambiguità, di oggettivamente problematica condivisione. L’articolo 2 dello statuto dell’ANM, ad esempio, recita testualmente: "dare opera affinché il carattere, le funzioni e le prerogative del potere giudiziario, rispetto agli altri poteri dello Stato, siano definiti e garantiti secondo le norme costituzionali". In questo passaggio il testo parla espressamente di "potere giudiziario, rispetto agli altri poteri dello Stato", e, richiamando in proposito la Costituzione, opera una “forzatura”, a nostro parere inopportuna, che lascia non poco perplessi sulle reali funzioni dell’associazione.
È opportuno a questo punto premettere che questa storia dei poteri dello Stato, suddivisi tra "esecutivo" in capo al governo, "legislativo" in capo al parlamento e "giudiziario" in capo alla magistratura, fu teorizzata dall’ottimo Charles Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu (meglio noto semplicemente come Montesquieu), in un’epoca in cui tutti e tre i poteri dello Stato erano saldamente nelle mani del re, che era tale per grazia di Dio. Se accettiamo il sistema democratico (circa il quale mi sembra che, ad oggi, non ci sia discussione da parte di chicchessia), si dovrebbe parlare tecnicamente di potere (e quindi di ”imperium”) solo là dove questo sia legittimato dalla volontà popolare. Non risultando a noi che i magistrati vengano eletti da qualcuno, né tanto meno che siano investiti per grazia divina, trattandosi di semplici vincitori di un concorso, ci sembra del tutto evidente che soltanto il parlamento ed il governo siano legittimati ad esercitare un "potere", almeno in uno Stato che si voglia definire democratico, e ciò in quanto, direttamente il primo ed indirettamente il secondo, vengono legittimati dal voto popolare. Appare quindi di logica evidenza che la magistratura non possa in alcun modo e per nessuna ragione considerarsi un "potere" dello Stato; si tratta piuttosto di un "ordine" legittimato ad agire “in nome” del popolo, ma non "per conto" di esso, che non ha mai dato a tale ordine alcuna delega, a differenza di quanto fa, tramite il voto, con i parlamentari direttamente, e con i membri del governo indirettamente.
La "funzione giurisdizionale" può essere esercitata dunque nei soli spazi definiti dalla legge approvata dagli organi deputati e legittimati ad adottarla. Non è un caso infatti che la Costituzione ben si guardi dal parlare di "potere", usando invece l’espressione "ordine giudiziario": nel titolo quarto della sezione prima, è scritto infatti “ordinamento giurisdizionale”, e, nell’articolo 104 della Costituzione, il lettore, fugando ogni dubbio in merito, troverà chiaramente vergato “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. L' indipendenza dell'ordine giudiziario nasce da un compromesso tra i padri costituenti che, in piena guerra fredda, appartenendo a blocchi diversi dello schieramento internazionale, temevano che la magistratura potesse essere utilizzata dal Governo per perseguitare le opposizioni: una scelta figlia più di un'esigenza di realpolitik che di un principio giuridico. Quanto avviene da trent'anni a questa parte nella nostra nazione rappresenta una lotta per la supremazia da parte di un vero e proprio “corporativismo burocratico” rispetto al potere politico (esecutivo e legislativo) che, fino a prova contraria, rappresenta il popolo che lo ha votato. Estremizzando il concetto potremmo facilmente affermare che lo scontro ANM - Governo altro non sia che uno scontro tra gli interessi corporativi di una “casta” e la “volontà collettiva” del popolo.
Hermann Heller, giurista e politologo, esponente dell’ala non marxista del Partito Socialdemocratico tedesco durante la Repubblica di Weimar, scrisse pagine molto interessanti riguardo ai rapporti tra politica, stato e nazione, che, rilette oggi, ci appaiono estremamente attuali. Nel 1930, Heller, circa le origini della figura dei funzionari, sosteneva che lo stato creato dall'assolutismo servendosi della burocrazia quale "terzo superiore" (cioè al di sopra di nobiltà e borghesia), era basato su un potere che si appoggiava (con la nascita dei partiti politici nell'Ottocento) al partito del re: il monarca esercitava ancora la sua influenza decisiva sullo stato nel suo complesso. Nessuna meraviglia quindi che la burocrazia venisse vista, dagli avversari dello stato monarchico autoritario, come inconciliabile con la democrazia; "...l'idea di una responsabilità nazionale (verso la nazione, n. d. a.) è estranea al grosso della burocrazia", in quanto la burocrazia, fedele essenzialmente al re, si configurava come un'unità di ceto che, unita da un'identica cultura conservatrice, aveva sviluppato - isolandosi - un concetto di onore e di ordine avulso dal popolo. Nell'amministrazione di un moderno stato di diritto la funzione della burocrazia (intesa come insieme del personale necessario al funzionamento della organizzazione dello stato, e non come ceto accentrato, geloso delle sue prerogative e dei suoi poteri, avulso dal corpo della popolazione e spesso ad essa ostile) è indispensabile; le sue migliori virtù dovrebbero essere la esattezza scrupolosa senza essere ottusa, la padronanza "routinaria" dell'amministrazione, la subordinazione disinteressata nell'esecuzione di compiti limitati, dei quali è il superiore a portare la responsabilità politica.
Ancora Heller precisa che "il confine tra Governo ed amministrazione, tra Gabinetto e burocrazia deve venir tracciato nel modo più univoco ed esatto possibile ... Nulla di più sbagliato che rimettere semplicemente il governo alla burocrazia. Il compito della burocrazia … rappresenta … se non altro per il carattere permanente della professione, l'elemento della continuità, ma anche la neutralità, ed in quanto tale, proprio nell'alternarsi al potere dei partiti tipico del parlamentarismo, insostituibile. Il Governo, invece, deve dare allo Stato le finalità politiche". Il Gabinetto deve imporre all'ambito della politica statale i fini propri di un partito politico (quello che è risultato vincitore delle elezioni ed è perciò legittimato a governare); la burocrazia ha invece il compito di realizzare questi fini, indipendentemente dalle convinzioni politiche del singolo cittadino membro del suo apparato: un funzionario simpatizzante di un partito di sinistra deve eseguire la volontà di un ministro conservatore, e viceversa. Se nel sistema parlamentare si volesse ottenere il pieno accordo politico tra ministro in carica e la burocrazia del suo ministero si dovrebbero cambiare i funzionari ogni volta che muta il partito politico al governo: ciò significherebbe però la pura e semplice eliminazione dei funzionari di professione, e la loro sostituzione con dilettanti.
D'altra parte tutte le volte in cui la burocrazia mette in atto di propria iniziativa una politica contrapposta a quella del governo in carica, si determina una situazione di difetto di sovranità dello Stato: nella sostanza si determina nel Paese la presenza di un "centro di potere" concorrente con quello legittimamente espresso dalle elezioni politiche e, come tale, unico deputato a governare. L'azione della burocrazia in contrapposizione a quella del governo, si configura come quella che Carl Schmitt chiama una "controforza", ossia una forza agente in modo tale da compromettere l'unità politica dello Stato, in quanto solo se esiste l'unità politica lo Stato è sovrano, mentre, in presenza di una "pluralità" di poteri tra loro confliggenti, la sovranità è incerta; nel caso limite in cui la burocrazia riuscisse ad esautorare completamente dal potere la classe politica eletta, questa "controforza" costituirebbe la nuova sostanza dell’unità politica, di origine non democratica. Heller, giurista di impostazione teorica progressista e democratica, in proposito afferma senza remore che "Non appena la burocrazia sviluppa di propria iniziativa una politica contrapposta a quella del Gabinetto...nessun governo al mondo può fare a meno, prima o poi, di sbarazzarsi di questi funzionari, quand'anche si dovesse arrivare a sopprimere l'indipendenza dei giudici".
Heller si chiede giustamente “...quale fiducia può mai riporre il cittadino nell'imparzialità anche solo relativa dei funzionari amministrativi e giudiziari se vede questi organi dello stato trascinati nella lotta tra i partiti o, addirittura, in quella elettorale?". Per questo, a suo parere, la burocrazia non dovrebbe mai formare, tanto meno in uno stato parlamentare, una unità ermeticamente chiusa; dovrebbe periodicamente essere vitalizzata nei suoi componenti, specie ai livelli elevati, con l'inserimento di outsider. Partendo dalle riflessioni di Heller (sorprendentemente attuali), come possiamo non considerare gli atteggiamenti di un'organizzazione come l'Associazione Nazionale Magistrati una prova evidente dell'esistenza una controforza di natura corporativa, di una minoranza organizzata, di una casta che mina l'essenza stessa dello Stato democratico?
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