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Vincenzo De Luca, l'autonomista che è contrario alla riforma

Roberto Arditti
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Esauriti tutti gli aspetti polemici di vario tipo, le espressioni colorite ed anche i riferimenti storico-culturali, sul ragionamento di Vincenzo De Luca pesano come macigni di due questioni che dovrebbero indurrebbe persino lui, navigato politico ed amministratore di lungo corso, ad un più accorto esame della situazione. Già, perché non c’è solo ricorso del Governo contro la legge elettorale votata dal Consiglio Regionale della Campania (che consentirebbe a De Luca di candidarsi per un nuovo mandato) ad «intralciare» la nuova corsa di De Luca: essa si complica anche per questioni tutte politiche, ma di gran peso.

La prima è che il suo partito non lo vuole candidare più, nella convinzione della segreteria guidata da Elly Schlein che due mandati (dieci anni) sono sufficienti, tanto per le regioni quanto per i comuni. Ora De Luca può tranquillamente dire che a lui poco importa di quello che decide il Nazareno, ma è altrettanto vero che questa spaccatura a sinistra conduce (quasi certamente) ad un solo esito: la vittoria del candidato di destra. E siccome De Luca è uomo di antica militanza, dovrebbe sapere che mettersi apertamente contro il proprio partito raramente funziona, anche per uno come lui che certamente sa fare le campagne elettorali.

 

Poi c’è un secondo tema, che per molti versi interessa assai di più delle beghe interne alla sinistra. Questo punto è così sintetizzabile: ma come fa De Luca a chiedere a gran voce (e sin qui si può tranquillamente concordare) il rispetto assoluto dell’autonomia regionale nel decidere come si vota, ma poi schierarsi apertamente contro l’autonomia che, faticosamente, il Governo sta cercando di introdurre nell’ordinamento della Repubblica?

Se una regione (seguo lo schema del Governatore della Campania) deve essere rispettata sul punto di massimo valore politico ed istituzionale, cioè come eleggere il suo Presidente ed i suoi rappresentanti in Consiglio Regionale), non è conseguenza immediata tifare a squarciagola per un’autonomia forte, anzi fortissima, in cui ogni regione si organizza come crede su molte, moltissime materie?

Perchè, in fondo, anche questa benedetta autonomia non può andare bene per i giorni dispari ed essere una tragedia in quelli pari. De Luca crede che bisogna decidere «in loco» sulle cose importanti? E allora si metta a braccetto di Attilio Fontana, Luca Zaia e, persino, Roberto Calderoli. Autonomisti si è, non si diventa.

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