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Valditara: "La querela a Lagioia per bandire l'insulto e difendere il rispetto"

Giuseppe Valditara
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Nicola Lagioia ha pubblicato su La Stampa una lettera a me indirizzata. Siccome l’intervento di Lagioia merita una particolare attenzione e una puntuale risposta, ho deciso di pubblicare qui la mia replica. Ci sono alcune cose che non tornano nella narrazione di Nicola Lagioia. Rispondo a lui direttamente. Lei ha affermato in una precedente intervista su La Stampa che non sarebbe vero che io le avrei proposto una mediazione, arrivando ad affermare testualmente: la «mediazione non mi è mai arrivata». Purtroppo lei sostiene una cosa errata: la proposta di mediazione le è stata notificata il giorno 27 maggio con tanto di firma per ricevuta da parte del portiere dello stabile dove lei abita. Allo stesso indirizzo dove lei ha ricevuto ora l'atto di citazione che ha ampiamente pubblicizzato. È un fatto non marginale perché la mediazione serve proprio per spiegarsi, trovare una composizione, dando vita ad un confronto civile, evitando così di ricorrere ad un processo. Non presentarsi ad una mediazione significa rifiutare il dialogo. Lei arriva poi nella sua intervista ad attribuirmi «disprezzo verso le storie» di ragazzi stranieri che conoscerebbero l'italiano meglio di me. La sua affermazione è gratuitamente offensiva e illogica. Cosa le fa pensare che io disprezzi queste storie? Non vi è nulla nella mia vicenda personale, nella mia azione politica e nemmeno nelle mie espressioni che giustifichi l’accusa di disprezzare le storie di stranieri che «ce l’hanno fatta».

 

 

 

Mi accusa di esprimere odio e disprezzo nei confronti di Christian Raimo e nei suoi. Non ho mai fatto dichiarazioni offensive contro Raimo, ho dichiarato a suo tempo di esser rimasto colpito da certe sue espressioni particolarmente violente contro di me. Ricordiamoci inoltre che Raimo ha fra l’altro considerato giusto «picchiare un neonazista» e ha dichiarato di insegnare ai suoi studenti «solo storia militare per formare le truppe scelte che domani vi (mi) verranno ad assediare». Non mi sembrano comportamenti da difendere. Non mi sono nemmeno permesso di fare dichiarazioni su di lei. Quindi perché accusarmi di esprimere odio e disprezzo nei suoi confronti? Infine lei arriva ad affermare che il ministro Giuli dovrebbe esprimersi sulla mia «querela» altrimenti non sarebbe un interlocutore autorevole per il mondo del libro. Queste affermazioni suonano minacciose e non sono coerenti con quella tolleranza che lei auspica. Veniamo al nostro caso. Non ho avviato un'azione civile contro di lei per aver criticato la forma espressiva di un mio tweet. Diciamo piuttosto la verità: quel tweet è stato giudicato corretto grammaticalmente da diversi illustri linguisti: il prof. Massimo Arcangeli, ordinario di Linguistica italiana e già responsabile scientifico del Progetto Lingua Italiana Dante Alighieri, il prof. Giovanni Gobber , ordinario di glottologia e linguistica, e il prof. Claudio Marazzini, ordinario di Storia della lingua italiana, presidente onorario della Crusca.

 

 

 

Ciò premesso, perché ho ritenuto offensive le sue dichiarazioni? Nella trasmissione a cui lei stava partecipando si parlava di integrazione degli studenti stranieri. Mi sarei aspettato che lei criticasse anche duramente i miei provvedimenti, che peraltro consistono in misure concrete per potenziare l’insegnamento della lingua italiana agli stranieri di primo arrivo, persino a quelli arrivati clandestinamente (dunque non a quelli che «conoscono l’italiano meglio di me e di lei»), cioè a quei ragazzi che proprio la nostra lingua non la conoscono. È la prima volta che si prendono provvedimenti di questo tipo. E perché ho deciso di dare importanza a questo tema, investendo già da quest’anno 13 milioni di euro e dal prossimo assumendo insegnanti specificamente formati? Perché, contrariamente a quello che lei ritiene, ancora in terza media questi ragazzi hanno un deficit di conoscenza della nostra lingua pari ad un anno in meno rispetto ai compagni italiani e in oltre il 30% dei casi non proseguono gli studi. Anziché confrontarsi su questi temi lei ha invece iniziato a dichiarare del tutto fuori contesto: «molti (studenti stranieri) padroneggiano... l’italiano meglio del ministro Valditara». Che c’entra questo? Persino la conduttrice si è sentita in dovere di controbatterle: «questa è una cattiveria». Ignorando l’invito alla moderazione, lei ha continuato imperterrito non solo a criticare la correttezza lessicale del mio tweet, e fin qui nulla di censurabile, ma ha aggiunto queste letterali parole: «se ci fossero (i test), la lingua italiana come accesso alla cittadinanza, se partecipassero, diciamo così agli esami, probabilmente Valditara lo fallirebbe, molti di questi studenti lo passerebbero... facciamo il test d’italiano al ministro ma l’ha già cannato ragazzi» e infine ha concluso: «Ragazzi non finisce, la frase non finisce, cioè, è italiano? Un ministro...».

 

 

 

Tralascio le evidenti sgrammaticature del suo linguaggio, lei ha usato toni palesemente offensivi per dimostrare che il ministro dell’Istruzione Valditara sarebbe talmente «ignorante» proprio nella lingua italiana che non riuscirebbe (probabilmente) nemmeno a superare un test di conoscenza elementare della lingua. Vengo dunque all’ultimo punto. La satira è ritenuta da tutti gli ordinamenti democratici lecita e anzi viene considerata persino un nobile genere letterario perché è dichiaratamente irrisoria, canzonatoria, necessariamente graffiante. Lei stava invece facendo un discorso molto serio all’interno di un dibattito televisivo. Il pensiero democratico distingue dunque nettamente fra libertà di critica, tutelata e licenza di insulto, sanzionata. Uno dei più importanti filosofi "liberal" americani, Jeremy Waldron, arriva a sostenere che lo "hate speech" non è coperto dalla Costituzione americana perché proteggere le persone dalle offese altrui è addirittura un bene «pubblico» in quanto una società democratica deve dare visibile assicurazione che nessuno sarà oggetto di diffamazione o denigrazione, anche chi occupa cariche pubbliche. Waldron considera, quindi, quella che lui chiama «civic dignity» come una componente necessaria di una società bene ordinata. Il rispetto dell’onore personale come bene politico è al centro pure della caratterizzazione di «società decente» fornita dal filosofo israeliano, anch’egli di orientamento progressista, Avishai Margalit nel suo celebre libro omonimo: per Margalit una società è «civilizzata» quando le persone non sono offese nel loro onore e nella loro dignità.

 

 

 

Credo molto nel rispetto verso l’altro, lo predico ogni giorno nelle scuole che vado a visitare, l’ho fatto inserire nelle nuove Linee guida sull’educazione civica. È il fondamento della nostra Costituzione. Il rispetto inizia dalle parole. Come ho già dichiarato, la libertà di insulto degrada il confronto, rende più volgare la nostra società, ci allontana dalla democrazia. Il dileggio dell’avversario è tipico del pensiero totalitario, serve a delegittimare alla radice la controparte. Sono state scritte pagine illuminanti sul punto. È per difendere la cultura del rispetto verso l’altro che ho deciso di agire in giudizio, non certo perché «permaloso», come lei afferma. Ho anzi evitato di portare la nostra querelle sul piano penale, e le ho offerto preventivamente la possibilità di una mediazione che lei ha rifiutato. Lei affermi pure che quel tweet era scritto male, critichi pure duramente i miei provvedimenti e le mie idee, ma riconosca di essere andato oltre il legittimo esercizio della critica e che non è corretto insultare o offendere chicchessia, che denigrare e screditare la persona, non le sue idee, non ha nulla a che vedere con la critica politica. Se avrà il coraggio di fare queste affermazioni io non esiterò un attimo a fermare l’azione legale. A me interessa ribadire un principio, non la sua condanna. Un’ultima osservazione: vogliamo prendere spunto da questa querelle per cercare di riportare in politica e nella società un dibattito civile, che bandisca l’insulto e la violenza verbale, ma punti sulla dialettica, possibilmente costruttiva?

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