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Appendino contro Schlein: "Doppio gioco col governo"

Mira Brunello
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È come un ultimo may day, quando gli scogli si avvicinano paurosamente. Nel senso che i segnali di un prossimo impatto circondano il Pd, si avvertono fin dentro la sala dell’Auditorium Antonianum dove Elly Schlein riunisce la sua assemblea nazionale. Giacca blu, camicia bianca, il volto teso dei passaggi cruciali, la segretaria con le sneakers cerca di motivare le sue truppe, richiamandosi diffusamente all’unità (concetto a cui sarà anche ispirata la tessera di iscrizione del 2025). Un intervento fiume, ottanta minuti dedicati a ripassare le regole del gioco ed i perimetri del campo («bisogna lavorare sulla larghezza e sulla profondità»).
Il sottotitolo è: se gli alleati scappano o non riescono a mettere in mare la loro scialuppa, almeno il Nazareno resti solido, non si divida, come vorrebbe qualche insofferente della minoranza («non perdiamo tempo nelle polemiche con gli altri anche quando ci chiamano direttamente in causa»). E però anche durante i lavori del consesso dem arrivano chiaramente gli scricchiolii del campo largo, per l’appunto gli scogli che si avvicinano. Li fa entrare la ex sindaca di Torino, la pentastellata Chiara Appendino, che aveva già concesso al quotidiano La Stampa, un’intervista sufficientemente sconfortante («no a tavolo con Pd»).

 

 

 

Ieri l’infida ha rimesso il dito nella piaga, con toni ancora più ruvidi: «Oltre a invocare unità e a dirsi testardamente unitari, bisogna essere testardamente coerenti. Non bastano parole e appelli, entriamo nel merito. Per Schlein il Pd non sta tradendo le ragioni progressiste sulla nomina di Fitto, sul voto a Von der Leyen, sul Salva Milano e sull'escalation militare? Non scappiamo dai problemi, cara Elly, assumetevi le vostre responsabilità. Contano i fatti, non le etichette». Alla ex prima cittadina di Torino, aveva risposto anche la senatrice Simona Malpezzi: «Continuare ad attaccare il Pd invece che il governo non sta facendo bene al M5S. I tatticismi, i distinguo esasperati, iveti non portano bene. Come non porta bene dare le patenti». Ecco lo spettro di Enrico Letta che si rimateraliazza: l’alleato malandato, e però così prezioso, che si allontana sempre di più, come successe alla fine del governo Draghi, ed il Pd, tradito anche dal bacio di «Giuda» di Carlo Calenda, andò incontro al «disastro» (la vittoria di Fratelli d’Italia) praticamente in «braghe di tela». Con una possibile alternativa: dopo un annodi stop and go continui, la questione ultimativa per risolvere il conflitto, primarie di coalizione, giochiamoci la leadership ai gazebo. In pratica lo scontro finale tra la «ragazza» di Bologna e l’azzimato ex Presidente del consiglio, che conta ancora di superarla.

 

 

Anche sul fronte dell’alleato centrista, regna la confusione, la realtà è che il Pd non riesce a trovare il suo cespuglio, e quando lo trova, non gli piace. Così sul palco dell’Antonianum, incoraggiati dalla Schlein, prendono la parola i fautori della linea 5 Stelle. Come l’ex Presidente della Camera, Laura Boldrini, che dice: «Ora serve un passo in più verso la pace. Il PD deve essere riconoscibile come un grande partito popolare che si batte perla pace e aprire una stagione di confronto su questo tema anche nei territori. Siamo circondati da conflitti che continuano ad espandersi e coinvolgono potenze nucleari. La spesa per gli armamenti è in veloce crescita ovunque e il diritto internazionale a rischio. Il PD con chi sta? Con chi vuole armare l'Europa fino ai denti e portarla verso un'economia di guerra o con chi vuole rilanciare il dialogo e la diplomazia?». Insomma perfetto slang contiano: andiamo verso il M5S, facciamo nostre le loro battaglie. Naturalmente dalla segretaria, che ha il sogno di fare la regista, anche l’attacco al governo di Giorgia Meloni: C'è una "distanza fra il favoloso mondo di Ameloni e il Paese. Il passo che dobbiamo fare è raccontare il Paese che vogliamo noi". Esattamente quello che il Pd non riesce a fare, impossibile avere un programma in comune, in un partito (ed in un’alleanza) in cui ognuno va per conto suo.

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