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Anche Calenda vira a destra, prove di campo-Meloni. Dal premierato alla giustizia

Pietro De Leo
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La tessera mancante si è unita ieri. Nella mattinata, Azione ha annunciato la sua adesione, in Basilicata, al progetto del Presidente uscente Vito Bardi. Dunque, dopo Italia Viva, anche il partito di Carlo Calenda allarga il campo del centrodestra. Un passaggio, questo, che veleggiava già nei rumors di venerdì, poi l’accelerazione si è verificata con l’esclusione di Azione dai tavoli del centrosinistra durante il fine settimana. «Dopo mesi di tentativi per costruire un’alleanza riformista in una regione dove il nostro partito ha conquistato una centralità prendendo il 12,2% alle elezioni politiche, abbiamo dovuto prendere atto della volontà di Pd e M5S di tenere Azione fuori dalla coalizione». Scrivono, in una nota, Marcello Pittella e Donato Pessolano, le colonne lucane del partito di Calenda. Quest’ultimo sceglie il saluto scoutista per il centrosinistra: «Vi auguro buona strada sotto la guida del "grande punto di riferimento dei progressisti", Giuseppe Conte».

 

 

Nel centrodestra il ministro Elisabetta Alberti Casellati, coordinatrice in Basilicata di Forza Italia (stesso partito di Bardi), saluta l’allargamento della coalizione come «frutto di un lavoro esemplare sul territorio e a livello nazionale sotto la guida di Antonio Tajani». Dalla Lega, il segretario Matteo Salvini ironizza: «Per Calenda il problema del mondo sono io: se in Basilicata sono meno problematico che nel resto del mondo e sceglie di venire sui nostri candidati, sui nostri programmi, sui nostri temi e sulle nostre battaglie, io sono un sincero democratico, vuole dire che ha fatto le sue valutazioni e che la Lega e il centrodestra sono la soluzione per la Basilicata e per l’Italia». Ora il puzzle si è composto. E accende i riflettori sul prossimo passaggio importante, il Piemonte. Qui, Iv e Azione guardano ad Alberto Cirio, altro presidente di Forza Italia, uscente e ricandidato, che può prospettare un allargamento anche a quelli che furono i fondatori del Terzo Polo. A livello locale, l’intesa è più agevole, purché avvenga intorno a candidati non connotati ideologicamente. Il programma amministrativo, infatti, può prescindere da molti retaggi culturali e dal confronto tra leadership che, sul piano nazionale, amplificano le difficoltà nel trovare la sintesi.

 

 

In una sorta di ipotesi di scuola si può, comunque, stilare una serie di elementi su cui potrebbero essere trovati dei punti di incontro, affiancandoli a quelli che potrebbero segnare un’incompatibilità. Nel primo bacino entrano sicuramente le politiche fiscali (dove è immaginabile una comunanza di fondo tra Terzo Polo e centrodestra), la giustizia (a partire dalla separazione delle carriere, grande battaglia di Forza Italia), il cambiamento della forma di governo (premierato). Quello che, invece, potrebbe risultare difficile da conciliare è la politica di contrasto all’immigrazione. E poi ci sono i rapporti tra i singoli partiti, non sempre facili. La volontà di Renzi di sottrarre i voti a Forza Italia, utilizzando sul piano comunicativo parole dure verso Antonio Tajani e la classe dirigente, non crea i migliori presupposti per una collaborazione. Così come, spesso, certe uscite di Calenda hanno preso di mira Matteo Salvini. Senza dimenticare i contrasti tra gli stessi fondatori del Terzo Polo. Una serie di fattori che certificano come questa collaborazione, per il momento, è confinata al territorio.

 

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