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Dossier, Di Pietro: "De Raho non può indagare. Piuttosto racconti la verità"

Edoardo Sirignano
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«De Raho dovrebbe stare in commissione solo per dare la sua versione dei fatti. Indossa una veste quando dovrebbe indossarne un’altra». A dirlo Antonio Di Pietro, l’ex Pm di Mani Pulite.

Dossieraggio, a dove porterà l’inchiesta?
«La montagna partorirà il topolino. Bisogna capire, comunque, cosa s’intende con questa parola. Se è quello che prevede il codice penale non è un dossieraggio, ma una rivelazione di segreti d’ufficio. È da tempo immemore che quando ci si vuole liberare dell’avversario, c’è qualcuno che utilizza, in modo strumentale, il proprio ruolo o meglio ancora l’accesso a informazioni riservate e segrete».

Si tratta, dunque, di un modus operandi antecedente a questo scandalo?
«Appena ho iniziato Mani Pulite sono stato messo sotto controllo, sia a livello telefonico che nei movimenti.
Tutto il materiale veniva raccolto dall’allora capo della polizia Parisi, il quale relazionava periodicamente con Amato, che poi riportava a Craxi. Venivo, dunque, monitorato da chi era sotto inchiesta. Sono, pertanto, d’accordo, con Cantone quanto definisce tale modus operandi mostruoso. Detto ciò, ha anticipato un giudizio che è tutto da verificare».

A cosa si riferisce?
«Nell’immaginario collettivo si pensa che ci sia una vittima e un autore. Qui, invece, stiamo parlando di un vero e proprio mondo parallelo».

Sembra, intanto, essere stata colpita una sola parte...
«La mia storia si è ripetuta con tanti altri, compresi i vari Renzi e Salvini.
Ci sono, purtroppo, persone che svolgono una funzione e vengono utilizzate come casel- le della posta da parte chi ha possibilità di accedere a loro».

Ritiene, dunque, che Striano non sia il solo responsabile?
«Molte delle cose che ha fatto, non le ha fatte di testa sua. Qualcuno, di volta in volta, gliele ha chieste».

Cosa ritiene, dunque, sia venuto fuori da tutta questa vicenda?
«Nell’idea di Falcone la Direzione Nazionale Antimafia doveva essere il punto di riferimento per quancoordinato bene le indagini e soprattutto di chi non ha tutelato i dati in possesso».

Qualcuno attribuisce responsabilità pure agli organi di informazione?
«Pur avendo subito gli effetti della delegittimazione, oggi vorrei in Italia non una, ma mille Gabanelli, pur avendo quel servizio di Report rovinato la mia vita.
Da giornalista ha fatto il suo dovere, ha sentito le persone che operavano intorno a me. Sono state loro a riferire il falso».

Scoppia, intanto, una polemica sul ruolo di De Raho, che secondo alcuni esponenti della maggioranza sarebbe al centro di un conflitto di interessi...
«Pur avendo il massimo rispetto per la persona, in commissione dovrebbe starci per dare la sua versione dei fatti.
In Antimafia, comunque, non è una novità. Da quella commissione sono stato sentito due volte per riferire sulle ragioni per cui il giudice Borsellino è stato ucciso, verità scomode. Mi sono trovato in imbarazzo quando a farmi le domande era Scarpinato, ovvero colui a cui io stesso avrei voluto porre degli interrogativi sul rapporto del Ros del 1991, su come è stato trattato in quegli anni dalla Procura di Palermo.
Ho dovuto parlare di qualcosa, pur sapendone di più di lui».

Ritornando ai procuratori Antimafia, chi ha svolto quel ruolo, poi, ha trovato spazio tra le file della sinistra. È una coincidenza?
«È vero che chi ha svolto quel ruolo si è candidato col centrosinistra, ma è altrettanto vero che Nordio e Mantovano prima di andare al governo erano giudici. Stiamo parlando di eccellenze. Bene coinvolgerle. Il problema, piuttosto, è un altro. L’arbitro può fare il giocatore, ma nel momento in cui decide di farlo non dovrebbe più fischiare».

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