Terzo Mandato, Bonaccini furioso con Schlein: il Pd si fa male da solo
Altro che il centrodestra. A spaccarsi sulla vicenda del terzo mandato ai governatori è il Pd. Sì, perché mentre nell’area di governo la bocciatura dell’emendamento Lega al dl elezioni viene derubricato (anche per voce dello stesso promotore, Matteo Salvini) a qualcosa che comunque non mette a repentaglio il governo, tra i dem invece si riaffaccia il duello tra correnti. Anche il Pd, infatti, ha votato contro la proposta leghista. Così, fonti di Energia Popolare, l’area che fa capo a Stefano Bonaccini, presidente del partito e dell’Emilia Romagna, fan filtrare il «forte disappunto per il voto» espresso. «Ci sarà da gestire il malcontento di sindaci e presidenti di Regione, e dopo il voto in Sardegna, se ne discuterà».
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Il responsabile riforme della segreteria del partito, Alessandro Alfieri, osserva che «un percorso unitario è stato delegittimato e questo provoca amarezza». Non sono esattamente mozioni di concordia. Bonaccini, insieme a Vincenzo De Luca (Campania) e Michele Emiliano (Puglia) compone la terna dei Presidenti in corso di secondo mandato, tutti assai favorevoli per il terzo. Ma qui, il confine tra convinzione valoriale e tattica politica (la volontà di Schlein di disinnescare queste figure non allineate, per usare un eufemismo) si fa assai fumoso.
Terzo mandato, lo psicodramma è nel Pd: i bonacciniani demoliscono Schlein
Capitolo centrodestra. Il Presidente del Veneto Luca Zaia la prende con citazionismo: «Natura non facit saltus». Nel senso, diamo tempo al tempo perché i cambiamenti avvengono per gradi. «Prendo atto del voto-dice all’Ansa- la strada è ancora molto lunga». L’emendamento della Lega al dl elezioni che introduce il terzo mandato per i Presidenti di Regione è appena stato bocciato in Commissione Affari Costituzionali al Senato e Zaia reagisce con il solito aplomb che gli è noto: niente strappi, niente decibel.
Pazienza, piuttosto. Lui è un po’ il cuore politico di questa vicenda. La Lega avrebbe voluto per lui un altro giro al timone della regione che incarna il modello Nord-Est. Fratelli d’Italia invece vuole chiudere l’era iniziata nel 2010 e da qui si è scatenato questo braccio di ferro. E però la questione è più ampia del zaiacentrismo, riguardando altri sei presidenti. In Liguria c’è Giovanni Toti, per esempio, che alla guida del suo movimento centrista è al secondo mandato. Anche lui non vorrebbe il limite.
Ha spiegato ieri che però la questione non è personale, anzi lui sarebbe disposto a mettere sul piatto il suo futuro in regione: «Io sono disponibilissimo al dibattit» sul tema, ha detto a Mattino 5. «Non so se vorrò fare il terzo mandato». Spiega che la legge sul terzo mandato e su “tutto ciò che riguarda i presidenti di Regione è stata recepita in modo diverso nelle Regioni, in Liguria ad esempio non è stata recepita subito”. E ha aggiunto: «Il terzo mandato in Liguria si potrebbe comunque fare, non lo dico per interesse personale, noi abbiamo modificato la legge elettorale nella passata legislatura e quindi la prossima sarà di fatto la seconda nella nuova era». Ieri sera, però, ha alzato un po’ il volume: «Sul terzo mandato c’è un gigantesco cortocircuito politico in una Repubblica dove i parlamentari contrari ad ulteriori mandati per governatori e sindaci talvolta siedano in Parlamento dagli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, quindi una sorta di era geologica fa». Continuando la carrellata geografica, ecco Attilio Fontana (Lombardia) e Massimiliano Fedriga (Liguria). Anche loro coinvolti dalla questione, per quanto siano stati riconfermati entrambi nel 2023. Fontana ieri ha affermato: «Io sono convinto che dare la possibilità ai cittadini di valutare l'impegno, il lavoro e i risultati del proprio sindaco o del proprio governatore sia la strada maestra». Tuttavia, al di là delle differenze, il bilancio che nella maggioranza si trae a sera inoltrato, è quello di nessun dramma in corso.