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Pd, il sondaggio per Schlein è impietoso: gli elettori non la vogliono candidata

Pietro De Leo
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Legittimo per Elly Schlein avere l’obiettivo di accreditarsi come concorrente diretta di Giorgia Meloni, «bipolarizzando» i prossimi mesi di campagna elettorale (se ci scappa anche un confronto televisivo è tanto di guadagnato), tagliando fuori dalla corsa alla conquista dell’immaginario il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte. Fisiologico che ci sia anche quel non detto di tattica, gettonato in molti retroscena, che individua nel ritorno all’Europarlamento una sorta di «exit strategy» qualora l’esito delle urne decretasse l’impossibilità oggettiva di tenere ancora il timore dei dem. E però l’ipotesi di vedere Elly Schlein in corsa alle Europee non scalda i cuori. Neanche degli elettori. Lo certifica un sondaggio Swg, realizzato tra il 1 e il 12 gennaio. Ai destinatari della rilevazione viene chiesto di pronunciarsi su questa frase «alle elezioni Europee a volte i leader di partito figurano tra i candidati, raccolgono numerose preferenze ma poi rinunciano al seggio nel Parlamento europeo lasciandolo a un altro candidato del loro stesso partito». Ecco l’esito: per il 72% degli elettori di centrosinistra-Movimento 5 Stelle-Centro la corsa del leader è inopportuna, «perché sanno già che non andranno al Parlamento europeo». Appena il 22%, invece, lo ritiene opportuno «per rafforzare il consenso del partito». Mentre è indeciso appena il 6%.

 

 

Dunque, un richiamo di popolo ha certificato quel che serpeggia, a varie intensità, già in parte del mondo interno al Pd o che vi ruota attorno. Ieri, per esempio, si è pronunciato sul tema Stefano Bonaccini, presidente del partito e guida della giunta in Emilia Romagna. Che dal suo canto ha messo un paletto. Sul rovello tra la candidatura o meno della leader, ha detto, intervenendo ad Agorà su Rai 3: «Penso che adesso dovremmo interrompere questo dibattito fino a che, immagino a breve, prenderemo una decisione a partire da cosa ci vorrà dire Elly Schlein rispetto a quello che vede come futuro personale del Partito Democratico rispetto alle elezioni Europee». E ancora: «Io ho già detto che sarebbe incredibile che noi impedissimo alla segreteria di questo partito, se lo vuole, di potersi candidare portando certamente un valore aggiunto a quella competizione». Un assenso, quindi? Non pienissimo. «Quello che io penso è che sarebbe sbagliata una candidatura da capolista in tutte le circoscrizioni perché questo lo fece Berlusconi». E aggiunge: «Questo è alterità rispetto a quello che noi siamo, cioè un partito plurale, un partito che come giustamente Elly Schlein rivendica sempre, ha una classe dirigente diffusa nella quale si discute e viva Dio che in un grande partito si discuta».

 

 

L’argomento della distinzione rispetto al centrodestra era stato utilizzato anche dall’ex Presidente del Consiglio e leader dell’Ulivo Romano Prodi. «Candidarsi dove sai che non andrai svilisce la democrazia. La destra lo può fare, i progressisti no», aveva detto il Professore a Piazzapulita, la scorsa settimana. Poi, a un evento successivo, era apparso meno netto: «Io non stoppo nessuno, ho parlato di candidature multiple. È un serio principio di democrazia», perché «se metti cinque candidature e ne scegli una vuole dire che alle altre quattro non ci vai. In alcuni casi non ci vai proprio». Il Foglio, inoltre, ha attribuito anche ad Enrico Letta una contrarietà rispetto alla corsa della Schlein, che comunque il diretto interessato ha smentito. È chiaro che la distinzione rispetto al centrodestra è ciò che dà una motivazione nel Pd universalmente condivisibile ad una questione eminentemente politica. E non crea i presupposti migliori per una rottura degli indugi: se dal partito emergono perplessità, così come da personalità d’area (appena prima di Natale Prodi aveva partecipato al forum dem «puntellando» la leadership di Schlein) si parte già con un deficit di competitività elettorale.

 

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