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Pd, sull'invio di armi all'Ucraina scatta la ribellione a Schlein

Edoardo Romagnoli
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Non c’è dubbio che il Pd sia un partito democratico talmente democratico che quando ci sono visioni diverse su un dossier invece di trovare una sintesi, che potrebbe non trovare tutti d’accordo, votano ognuno secondo coscienza. E così mentre il Parlamento era impegnato a votare sul rinnovo degli aiuti a Kiev il Pd, strano ma vero, si spacca. Alcuni parlamentari non hanno seguito le indicazioni del gruppo di astenersi su tutte le altre mozioni presentate ma hanno votato a favore del punto presente nelle risoluzioni di maggioranza, di Azione e di Iv sull’invio di armi all’Ucraina. Gli ammutinati a Montecitorio sono: Lia Quartapelle, Marianna Madia e Lorenzo Guerini che ha spiegato di averlo fatto per «una questione di coerenza col passato». Mentre a Palazzo Madama a smarcarsi sono stati in cinque: Dario Parrini, Filippo Sensi, Simona Malpezzi, Valeria Valente e Pier Ferdinando Casini. Discorso diverso per Susanna Camusso che non ha votato le mozioni presentate da altri partiti ma neanche quella del Partito democratico.

 

 

La spaccatura interna ai dem sulla questione degli aiuti all’Ucraina è nota da tempo ed è anche uno dei motivi per cui Schlein evita di esprimere una posizione netta sulla questione. Dopo la defezione dei suoi però la leader dem alla Camera non ha dato segni di preoccupazione e spiega che il sostegno militare era contenuto anche nella mozione Pd. E anzi rivendica come, rispetto al passato, tutti abbiano votato compatti sul dispositivo del partito mentre l’ultima volta c’erano stati voti in dissenso con le astensioni di Laura Boldrini, Arturo Scotto e Nico Stumpo mentre Paolo Ciani, segretario di Demos e vice capogruppo dem alla Camera, aveva votato contro. Una lettura che però gli altri partiti d’opposizione non condividono. Davide Faraone, di Italia Viva, parla di «fritto misto del Pd: il gruppo di Elly Schlein si astiene sia sulla mozione di Iv-Az-Più Europa che su quella del Movimento 5 Stelle che chiede lo stop dell’invio di armi. In pratica sostengono una posizione, molto simile alla nostra tanto che noi l’abbiamo votata, e l’esatto contrario». Duro anche il segretario di Azione Carlo Calenda che accusa i dem di cedere «ai diktat di Conte anche in politica estera». Il riferimento è all’astensione del Pd alla risoluzione M5S che chiedeva lo stop all’invio di armi.

 

 

 

Un’accusa che Peppe Provenzano, responsabile Esteri per idem, rimanda al mittente: «Non è vero quel punto è decaduto e non è stato votato. Quindi nessuna astensione sullo stop alle armi. Dal Terzo Polo bugie e ricostruzioni surreali». Il «pastrocchio» dem viene cavalcato da Giuseppe Conte che, dopo l’investitura di Schlein da parte della Meloni a «leader dell’opposizione», non perde occasione per prendere le distanze dal Pd e dalla Schlein nella speranza che la polarizzazione dello scontro fra lei e il premier possa far naufragare definitivamente la nave di Elly. «Ancora una volta il M5S costituisce un’eccezione. Abbiamo votato no all’invio di ulteriori forniture militari per l’Ucraina, ancora qualche mese fa il presidente Meloni scommetteva sulla vittoria dell’Ucraina una scommessa che noi non abbiamo mai fatto perché riteniamo che assecondare questa escalation militare allontani una via di uscita. L’unica via d’uscita è il negoziato, trattative per la pace, concentrare lì tutti i nostri sforzi politici e diplomatici e invece è un i risultato è un governo che continua ad assecondare le indicazioni di Washington, a piegarsi passivamente a questa logica bellicista dell’escalation militare che non sta portando assolutamente frutti se non ulteriori morti e distruzioni».

 

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