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Elly Schlein ha già centrato un record: nessuno peggio di lei nel Pd

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La sconfitta delle amministrative (10 a 3 per il centrodestra) non ha eguali

Domenico Alcamo
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 La segreteria Elly Schlein fa i conti con un allarme politico dopo che va concretizzandosi una sconfitta netta, senza angoli di interpretazione, per ammissione della stessa leader Pd. Tra primo e secondo turno, il centrodestra conquista 10 capoluoghi a 3, contro i 10 a 5 della scorsa tornata, 5 anni fa. Configurando, forse, la peggiore sconfitta sul territorio per il centrosinistra di sempre.

I numeri parlano chiaro, e appaiono ancor più sottolineati considerando il quadro politico. Facciamo un paragone rispetto alla tornata precedente. Allora, c’era un Pd uscito devastato dalla tornata elettorale del 2018, quando la segreteria Renzi fu travolta dalla performance del Movimento 5 Stelle da un lato e della Lega dall’altro (che poi infatti misero su un governo insieme). Stavolta, è vero che il Pd è stato ampiamente battuto alle elezioni politiche, ma nel frattempo c’è stata una campagna congressuale, vinta appunto da Elly Schlein, il ritrovo di un minimo di attivismo sul territorio. Una leggera ripresa nei sondaggi. Ma il responso delle urne è stato drammatico, e ha ricacciato giù, nel girone delle illusioni, quel breve refolo di ottimismo arrivato con la vittoria del Pd a Udine, ad aprile. Invece, niente. E il disastro appare in tutta la sua nitidezza.

 

Il 12 giugno del 2022, per esempio, il centrodestra che già aveva una certa preponderanza negli umori del Paese, mentre l’allora segretario Pd Enrico Letta faceva alquanto fatica, vinse per 13 a 10, su 26 capoluoghi totali, e 3 andarono a liste civiche. Per non parlare, poi, del 2021. Lì addirittura il Pd, a quei tempi guidato da Nicola Zingaretti, trainò il centrosinistra per un 15 a 4, su 20 capoluoghi. Fu l’anno della vittoria a Roma, Milano, Napoli e Torino, che consegnò il centrodestra a mesi di conflittualità interne. Andando ancora indietro, 2020. Altra vittoria per il centrosinistra.

 

Su 18 capoluoghi di provincia, prevalgono per 9 a 4, mentre 3 andarono alle civiche e 1 al Movimento 5 Stelle. In quella tornata, però, cominciò a vedersi il primo cambiamento di vento, con il versante delle elezioni regionali a settembre. Il centrodestra, infatti, conquistò le Marche, bastione di sinistra fino a quel momento mai espugnato. Quasi un anno prima era stato il turno dell’Umbria. Significativo fu anche il turno del 2016. Eravamo in pieno periodo d’oro del M5S, che infatti centrarono il bersaglio grosso a Roma. Il centrosinistra conquistò 9 capoluoghi su 25, 9 per il centrodestra e 3 per i pentastellati. Un turno così e così, con un numero relativo più alto ma comunque con la minor quota rispetto alla somma degli altri schieramenti.

 

Una cosa come quella vista a cavallo di questo fine settimana, non era mai accaduta. Per quanto il centrosinistra ha spesso subito il contraccolpo di elezioni territoriali andate male. Fu il caso, per esempio, della caduta del governo D’Alema nel 2000, dopo le elezioni regionali. Fu la tornata della «scelta di campo» di Berlusconi, della campagna elettorale a bordo della Nave Azzurra, dell’attribuzione di un senso nazionale alla tornata. Il centrosinsitra le perse per 7 a 8. D’Alema, che confidava di uscire rafforzato da quel passaggio così da giocarsi la partita alle politiche nell’anno successivo, lasciò Palazzo Chigi. Un altro leader incappò in una brutta tornata territoriale, Walter Veltroni, il primo segretario Pd. Anche lui fu disarcionato dall’abilità di Berlusconi nel trasformare elezioni territoriali in una sfida nazionale. Era il caso delle elezioni regionali del 2009, in Sardegna. L’allora presidente del Consiglio, e leader del Pdl, volò sull’isola ogni fine settimana trascinando alla vittoria Ugo Cappellacci contro Renato Soru che partiva da favorito. In precedenza, il centrodestra aveva vinto in Abruzzo, e dunque a Veltroni non restò che dimettersi, dopo la debacle sarda, in un drammatico annuncio al Tempio di Adriano.

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