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Mattarella stronca i censori di sinistra e azzera Schlein

Dario Martini
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L’occasione è il centenario della nascita di don Milani. Sergio Mattarella arriva in elicottero a Barbiana, minuscola località appenninica nel comune di Vicchio del Mugello (Firenze), per partecipare all’evento in memoria dell’educatore che legò la sua esistenza a dare un’opportunità di vita ai bambini più poveri. Nel discorso di apertura delle celebrazioni, il presidente della Repubblica ricorda che «la scuola di Barbiana durava tutto il giorno, cercava di infondere la voglia di imparare, la disponibilità a lavorare insieme agli altri». E, soprattutto, «cercava di instaurare l’abitudine a osservare le cose del mondo con spirito critico. Senza sottrarsi mai al confronto, senza pretendere di mettere a tacere qualcuno, tantomeno un libro o la sua presentazione. Insomma, invitava a saper discernere». Il pensiero non può non andare a ciò che è accaduto sabato 20 maggio al Salone del Libro di Torino, quando un gruppo di femministe-ambientaliste ha impedito alla ministra della Famiglia e della Natalità, Eugenia Roccella, di presentare il suo libro "Una famiglia radicale". L’obiettivo è stato centrato: riuscire a mettere il bavaglio a Roccella, con il direttore del Salone, Nicola Lagioia, sorprendentemente permissivo. Invece di consentire il libero dibattito, dopo un battibecco sul palco, se ne è andato, lasciando mano libera ai contestatori.

 

 

A sorprendere ancora di più, è stato il silenzio dei partiti di sinistra. Dopo un’iniziale indecisione, ad intervenire è stata la segretaria del Partito democratico Elly Schlein. Chi si aspettava una condanna e una difesa della libertà di espressione, è rimasto deluso: «In un democrazia chi sta la potere o fa politica deve mettere in conto che ci siano contestazioni, che ci sia il dissenso». Frase di per sé inappuntabile, se la contestazione non si fosse trasformata in censura. Ieri, a ringraziare Mattarella, c’ha pensato Matteo Renzi su Twitter: «Dai luoghi di don Milani, Mattarella interviene sui fatti della settimana scorsa a Torino: "Mai mettere a tacere la presentazione di un libro". Grazie Presidente, viva la democrazia». Il fulcro dell’intervento del capo dello Stato a Barbiana verte attorno al concetto di «merito» nella scuola. Già, proprio quella parola: merito, che con il governo Meloni è entrata addirittura nella denominazione di un ministero: Istruzione e Merito, appunto. «Il merito non è l’amplificazione del vantaggio di chi già parte favorito sottolinea Mattarella - Merito è dare nuove opportunità a chi non ne ha, perché è giusto e per non far perdere all’Italia talenti preziosi se trovano la possibilità di esprimersi, come a tutti deve essere garantito». In "Lettera a una professoressa", testo dirompente e brandito non sempre a ragion veduta anche durante il ’68, don Milani criticava la scuola elitaria, metafora di una società, mentre «la scuola è di tutti, deve essere per tutti». Come spiegava don Milani «avendo davanti a sé i figli di contadini che sembravano inesorabilmente destinati a essere estranei alla vita scolastica - aggiunge il presidente della Repubblica - Una scuola che seleziona distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo di espressione. Ai ricchi toglie la conoscenza delle cose», scriveva il giovane parroco.

 

 

«Impossibile non cogliere la saggezza di questi pensieri. Era la sua pedagogia della libertà», chiarisce il presidente. Don Milani, «un grande italiano che, con la sua lezione, ha invitato all’esercizio di una responsabilità attiva». Ai più giovani forse è noto per il suo motto, «I care», inno di chi «rifiuta l’egoismo e l’indifferenza». Per il capo dello Stato, che martedì visiterà le zone alluvionate in Emilia Romagna, «a quell’espressione se ne accompagnava un’altra, meno conosciuta. Diceva: "Finché c’è fatica, c’è speranza". La società, senza la fatica non migliora. Impegno accompagnato dalla fiducia che illumina il cammino di chi vuole davvero costruire». La riflessione sul merito come antidoto alle discriminazioni fa venire alla mente le parole pronunciate due mesi fa da Giorgia Meloni all’assemblea della Cgil: «Per come la vedo io, il merito è l’unico solo vero ascensore sociale che esista. Chiaramente, se accompagnato da pari condizioni di partenza».

 

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