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Schlein e Conte costretti all'alleanza forzata: insieme ai ballottaggi

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Claudio Querques
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Una passione fredda. Un amore sfiorito prima di cominciare. Elly Schlein e Giuseppe Conte. La prima pronta a trasfigurare se stessa e il Nazareno fino ad assumere sembianze grilline. Il secondo in fuga dall’abbraccio mortale, dal rischio di finire sotto uno stesso tetto ma cannibalizzato da una mantide. L’opposizione al tempo del governo Meloni: un insieme di molecole impazzite che si attraggono e si respingono. Elly aveva fatto delle alleanze il suo mantra, lei stessa incarnazione della rifondazione, il trattino di congiunzione della nuova «sinistra-sinistra».

Non aveva previsto il diniego, Elly. L’allontanamento, la corsa ai distinguo di Conte, una versione riveduta e più casual del «Giuseppi» di ieri, quello con la pochette che si affaccia da Palazzo Chigi. Per arrestare la caduta libera il leader 5Stelle oggi deve tirare la cloche. Fermarsi prima di schiantarsi al suolo. «È ancora presto per parlare di alleanza strutturale con il Pd, il quale deve risolvere ancora le sue contraddizioni su molti temi, come, ad esempio, quello della transizione i ecologica, degli inceneritori, delle armi e cosi via. Per questo alle amministrative non siamo riusciti a correre insieme su tutti i territori, cercato di condividere temi locali spiega il senatore Marco Turco, vice presidente del M5s, uno dei dirigenti più vicini all’ex premier – e lasciato ai singoli territori la decisione finale perché crediamo nella partecipazione dal basso di tutti i cittadini».

Ma come spiegare così i comizi alla stessa ora in due piazze diverse? Le liste di disturbo?le candidature opposte e contrarie? «Non siamo disposti a snaturare la nostra linea politica – rinforza il concetto Turco, pugliese, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel Conte II - al momento con i dem solo contratti su temi specifici, compatibili con la nostra carta dei valori».

Il processo di allontanamento è già cominciato. Il flop alle amministrative dove il M5S ha superato la misera asticella del 5% solo a Brindisi e Terni ha impresso un'ulteriore accelerazione. I gruppi territoriali sono avvisati. L’indicazione è chiara: d’ora in poi il fuoco amico è più importante di quello nemico: se prima la partita era per la leadership dell’opposizione ora in gioco c’è la stessa sopravvivenza del M5S. Non è scritto da nessuna parte che a Siena, ad esempio, per gli iscritti grillini ci sarà una indicazione precisa di voto per il volto «nuovo» del Pd, Anna Ferretti, la 71enne ex presidente della Caritas che il 28 e il 29 maggio prossimi spera di strappare al centrodestra la città del Palio. La 5Stelle Elena Boldrini, uscita con le ossa rotte dal confronto, finora si è limitata a dire che «già essere presentati è stato un successo».

Diverso il discorso a Brindisi dove i dem hanno offerto l’altra guancia per sostenere il 5Stelle Roberto Fusco senza che il gesto di apertura sia stata ricambiato con almeno un'iniziativa comune. Conte e la Schlein si sono sentiti spesso in questi giorni al telefono. Si parlano ma non si incontrano. E se Beppe Grillo è ormai partito per la tangente, pensa e addirittura scrive che l’intelligenza artificiale potrebbe un giorno sostituire la democrazia rappresentativa, l’ex avvocato del popolo è intenzionato a cavalcare in pianta stabile la questione ucraina. Vuole scavare un solco fra il «pacifismo-bellicista» di chi al Parlamento europeo ha votato a favore delle «forniture speciali» e di chi come lui e i suoi hanno sposato una posizione zen.

Idem per il Termovalorizzatore e per la precarizzazione del lavoro. Ai dem non si perdona di aver sdoganato il Jobs act, considerati «un macigno del passato». Nella sinistra-sinistra insomma succede anche questo: e’ più importante ciò che divide da ciò che unisce. 

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