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Riforme, Meloni vede le opposizioni e trova un muro da Pd e M5S

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Nessuna novità rispetto alla vigilia. Fatta eccezione per l’ex Terzo polo (che però ‘litiga’ sul coordinamento delle forze di minoranza), le opposizioni respingono al mittente qualsiasi ipotesi di elezione diretta del presidente della Repubblica o del premier. Unica apertura possibile che M5s, Pd e Più Europa sono disposti a concedere al governo è un premierato alla tedesca, quindi senza elezione diretta del presidente del Consiglio, al quale però si possono attribuire più poteri. Il canovaccio dei faccia a faccia voluti da Giorgia Meloni con le opposizioni si articola come previsto: il premier ribadisce la disponibilità al dialogo, purché il confronto non si tramuti in pantano, mettendo in chiaro che governo e maggioranza sono pronti anche a proseguire il cammino delle riforme da soli («Se gli altri decidono pregiudizialmente di non confrontarsi sulle riforme nessuno pensi che rimarremo con le mani in mano»). Che poi davvero soli non sarebbero, visto che Azione e Italia viva dicono sì all’elezione diretta del premier, sul modello del Sindaco d’Italia, anche se il supporto degli ex terzopolisti non sarebbe sufficiente ad evitare il referendum, che scatta come prevede la Costituzione qualora le riforme non vengano approvate da almeno i due terzi del Parlamento. 

 

 

Quanto alle opposizioni, M5s, Pd e Più Europa confermano il no netto al presidenzialismo, sia esso puro o ‘semi’ alla francese. E non decolla (per la verità l’ipotesi non affascina nemmeno il premier) l’opzione bicamerale o commissione ad hoc, proposta dal leader pentastellato Giuseppe Conte. Piuttosto, tutti (ad eccezione dei renziani, che tengono subito a precisare che «Calenda parla per Azione») i leader delle forze di minoranza si dicono pronti a dar vita a un coordinamento o confronto tra di loro proprio sul tema delle riforme. Meloni apre e guida le ‘danze’ a Montecitorio, accompagnata dai due vicepremier (Salvini, per impegni precedenti e preannunciati arriva con un po’ di ritardo), dal titolare delle Riforme Elisabetta Casellati e dei Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani e dai due sottosegretari Mantovano e Fazzolari. Gli incontri si aprono con la delegazione dei 5 stelle, con un’anticipazione della tabella di marcia per consentire al leader Giuseppe Conte di essere presente.

 

 

Ed è per primo a Conte che Meloni spiega il suo pensiero: il premier ricorda di avere ricevuto dagli elettori un mandato a fare le riforme costituzionali. Quindi, apertura e disponibilità al dialogo, ribadisce, ma pronta ad andare avanti anche da sola se non si riuscirà a trovare una sintesi. L’obiettivo per il presidente del Consiglio è innanzitutto la stabilità («Credo che ci si renda tutti conto del fatto che il nostro sistema è caratterizzato da una fortissima instabilità, che paradossalmente nell’ultima fase, cioè con la fine della prima Repubblica è peggiorata»), instabilità che «non consente un visione di lungo respiro» mentre la stabilità è «la più potente riforma economica che possiamo realizzare». A cui consegue il rispetto del voto dei cittadini. Come preannunciato, il premier non mette sul tavolo dei suoi interlocutori una proposta definitiva, perché prima il suo intento è quello di ascoltare e verificare se c’è l possibilità di una convergenza. Eppure Meloni delinea il perimetro di intervento: presidenzialismo puro, semipresidenzialismo alla francese o elezione diretta del premier. Ma si dice anche «disponibile a cambiare schema», ovvero creare un modello italiano. 

 

 

La lunga giornata si chiude con l’atteso primo faccia a faccia tra il premier e la segreteria Pd Elly Schlein. E, anche in questo caso, nessuno stravolgimento rispetto alle premesse: «A noi interessa la qualità e il perimetro del confronto, perché se hanno già deciso come va a finire, non è un vero confronto», anticipa la leader dem al Tg3, ribadendo la difficoltà a dialogare sulle riforme finchè in campo resta l’autonomia differenziata, osteggiata dal Pd. No a premierato, sindaco d’Italia o prsidenzialismo che si, insiste Schlein. Sì alla modifica della legge lettorale e disponibilità a riforme per «rendere più efficienti le istituzioni e rafforzare la stabilità». Stesso ragionamento fatto da Conte, che osserva: «Non sono emerse soluzioni condivise». E chiede a Meloni di «non procedere a colpi di maggioranza». Al termine del giro di incontri è la stessa Meloni a tirare le somme: la riforma «non è per noi stessi», assicura. E mette in chiaro: «Il problema non è rafforzare l’esecutivo ma rafforzare la stabilità dell’esecutivo. Non è accentrare il potere», anche perché si dice convinta che «i contrappesi delle opposizioni siano necessari». Meloni definisce «proficuo e interessante» il confronto, che si è svolto «in un clima franco e nel merito». E chiosa: «L’elezione diretta del premier è l’ipotesi con minore opposizione».

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