Dc, scontro su nome e simbolo. Rotondi sbotta: “Furto di Balena Bianca”
Non c’è pace per lo scudo crociato. Continua la guerra tra i democristiani sopravvissuti alla Seconda Repubblica che nella Terza sono ancora in cerca di una identità. Stavolta ad accendere il dibattito su chi può legittimamente usare simbolo e nome della vecchia Dc è Gianfranco Rotondi che, in “veste di rappresentante legale dell’ultimo partito democristiano rimasto in Parlamento” annuncia all’Adnkronos di aver presentato un esposto-diffida erga omnes alle massime cariche dello Stato, dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al premier Giorgia Meloni e al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, per “denunciare un ‘furto’ di Balena Bianca”.
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Nel mirino dell’ex ministro ci sono alcune ‘associazioni’ che rivendicano, senza averne titolo giuridico, l’utilizzo dello storico emblema con la scritta ‘Libertas’. “Ho fatto questo esposto - spiega Rotondi, pronto anche ad adire le vie legali - per denunciare una strategia coordinata di aggressione al suo partito attraverso la improvvisa proliferazione di numerose (finora tre) formazioni politiche, che dichiarano di essere la Democrazia cristiana ed eleggono un segretario politico. Fin qui - avverte - abbiamo lasciato la vicenda tra il colore e il rispetto per la buona fede dei promotori, ma, di fronte a tanta confusione, produciamo una diffida preliminare a una iniziativa giudiziaria in caso di persistenza di questi comportamenti”. Rotondi ce l’ha con chi preferisce “buttarla in caciara” e agisce “secondo una regia e per fini politici arrecando danno all’immagine e all’attività della Dc” attraverso “turbative” ad hoc. Da qui la richiesta di un intervento di Piantedosi e la determinazione a dare battaglia per ribadire che la denominazione ‘Democrazia Cristiana’ resta in “esclusiva in capo a lui” e che “l’utilizzo dello scudo crociato è stato concesso “all’Udc dall’Associazione ‘Democrazia Cristiana’, fondata da De Gasperi, che non si è mai sciolta e prosegue nel Partito Popolare”.
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Destinatari dell’esposto oltre il Colle, palazzo Chigi e il Viminale, anche i presidenti di Camera e Senato, Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa, il capogruppo a Montecitorio di FdI, Tommaso Foti e ai direttori responsabili della testate di agenzia di stampa e quotidiani nazionali.