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Piano natalità, l'intervento choc del ministro Giorgetti: tasse diverse per single e famiglie

Dario Martini
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Dopo le notizie circolate nei giorni scorsi, sugli incentivi alla natalità allo studio negli uffici del ministero dell’Economia, parla il titolare di via XX Settembre, e lo fa confermando la strada che intende percorrere il governo. Per Giancarlo Giorgetti, intervenuto in audizione sul Documento di economia e finanza di fronte alle commissioni Bilancio congiunte di Camera e Senato a Palazzo Madama, «vedendo le previsioni sulla spesa previdenziale dei prossimi anni è chiaro che dobbiamo mettere in campo un’azione choc». «Non sono sciocco da pensare che solo un incentivo fiscale possa produrre una ripresa della curva demografica», aggiunge il ministro, che poi lancia la vera novità: «Più che parlare di politiche contro la denatalità dobbiamo eliminare i disincentivi alla natalità, ad esempio non possiamo tassare allo stesso modo chi è single e chi ha una famiglia con figli perché hanno spese differenti». Come calibrare questa differenza sarà il lavoro su cui si concentrerà il ministro nelle prossime settimane. Per fronteggiare l’emergenza demografica e rimuovere gli ostacoli che impediscono la scelta di mettere al mondo figli circolano varie proposte. Una è arrivata l’altro ieri da due senatori leghisti, il presidente della commissione Finanze Massimo Garavaglia, e il sottosegretario al ministero delle Imprese e del Made in Italy Massimo Bitonci. Entrambi sostengono l’ipotesi di una detrazione annua di diecimila euro per ogni figlio a carico, per tutti e senza limiti di reddito, fino alla conclusione del percorso di studi. Si tratterebbe senz’altro di un impegno economico oneroso per le casse dello Stato. Tanto che da FdI viene fatto filtrare che il modello preferito sarebbe un altro, quello del quoziente familiare sul modello francese ma utilizzato anche nei paesi nordici europei.

 

 

 

Non è un caso che Giorgetti non sia entrato nei particolari. Ha specificato che le varie proposte saranno oggetto di confronto. Ma davanti alle commissioni Bilancio ha spiegato che il suo obiettivo è differenziare: «Chi ha dei figli ha dei costi che in qualche modo alterano il concetto, tanto caro a tanti qui presenti, della progressività del carico fiscale. Quello che dobbiamo in qualche modo fare è rimuovere gli ostacoli e i limiti per quanto riguarda la natalità». Il percorso è ancora lungo e il risultato finale sarà il frutto di un confronto tra le varie forze politiche della maggioranza. «Una politica che metta al centro la natalità, sottolinea infine, «deve essere condivisa perché non riguarda una parte politica ma il futuro dell’Italia».
Il ministro ha avuto l’occasione anche di affrontare il tema dell’immigrazione legato al calo demografico e ai conti dello Stato. Nel Def, infatti, un capitolo è dedicato proprio ai migranti. Il paragrafo in questione è il seguente: «Data la struttura demografica degli immigrati che entrano in Italia, l’effetto è significativo sulla popolazione residente in età lavorativa e quindi sull’offerta di lavoro». Le altre due variabili considerate sono «il graduale aumento della speranza di vita alla nascita, di circa 2 anni nel 2070 e la progressiva riduzione del tasso di fertilità del 20 per cento a partire dal 2020». Motivo per cui «il rapporto debito/Pil da qui al 2070 può variare «di oltre 30 punti percentuali», con un aumento dei flussi dei migranti «del 33%». Queste considerazioni nei giorni scorsi sono state sfruttate dalle opposizioni per aprire una polemica contro il governo, per sostenere come quanto scritto nel Def sia in contraddizione con le politiche sull’immigrazione che porta avanti l’esecutivo. È la tesi secondo cui non è giusto fermare i flussi migratori, perché chi arriva nel nostro Paese deve essere considerato una risorsa. A spiegare il senso delle considerazioni inserite nel Def ci pensa ancora una volta Giorgetti, il quale sottolinea la differenza tra immigrazione regolare e clandestina. La simulazione che prevede un aumento dei migranti per abbattere più velocemente il debito, infatti, è «abitualmente contenuta nelle simulazioni del programma di stabilità, il miglioramento del saldo migratorio ipotizzato corrisponde in valori assoluti a 75 mila» ingressi annui. Un valore, sottolinea Giorgetti, «analogo a quello deciso dal governo con l’ultimo decreto flussi con il quale si è stabilito che nel 2023 potranno entrare in Italia 82 mila lavoratori non comunitari». Ciò significa che c’è una migrazione che porta valore aggiunto e un’altra che non aiuta la crescita, ma anzi finisce per aumentare le sacche di povertà. Tra l’altro, come confermato l’altro ieri anche dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, il governo sta pensando di aumentare le quote di immigrati da far entrare regolarmente attraverso il sistema previsto dal decreto flussi. «Ribadisco che non abbiamo preclusioni a considerare ampliamenti delle attuali quote d’ingresso - ha detto il capo del Viminale - fermo restando che le valutazioni concrete andranno svolte in sede interministeriale attraverso il confronto con le parti sociali». Perché, come ha ricordato pochi giorni fa anche Giorgia Meloni, la carenza di manodopera non si risolve facendo arrivare sempre più migranti, ma aiutando le donne che non hanno un impiego a trovare lavoro.
 

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