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Meloni accelera sul presidenzialismo e la sinistra impazzisce

Christian Campigli
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Uno strumento per rendere più diretto il rapporto tra elettori e Stato. Una modifica per accelerare i pachidermici passaggi parlamentari, diventati in molte occasioni obsoleti e persino dannosi per il corretto ed efficiente funzionamento della macchina pubblica. Un sogno per la destra, una nube di fumo negli occhi per la sinistra. Giorgia Meloni torna a cavalcare un suo storico cavallo di battaglia: il presidenzialismo. E lo fa nel più significativo passaggio del suo intervento, in videoconferenza, al Summit for Democracy. «È necessario assicurare che le istituzioni siano stabili, veloci ed efficienti. Avere istituzioni più stabili, veloci ed efficienti significa essere in grado di avere maggiore affidabilità a livello internazionale e lavorare per focalizzare le energie su obiettivi strategici e di lungo periodo. Questa è la direzione in cui vuole andare il mio governo: infatti siamo fermamente convinti che la democrazia può diventare anche più forte e solida attraverso una riforma presidenziale dello Stato, una riforma che considero fondamentale e che rappresenta anche una misura potente per la crescita economica. Democrazia e crescita economica sono interdipendenti, dunque solo un sistema democratico può garantire crescita, giustizia, egualità, legalità – ha continuato il Presidente del Consiglio -. La democrazia porta crescita economica e diffonde prosperità, ma d'altro canto crescita economica e prosperità rafforzano la democrazia». Il leader di Fratelli d'Italia ha poi toccato un altro tema caldo, quello della guerra tra Ucraina e Russia. «Il Summit for Democracy rappresenta una grande opportunità per le nostre democrazie per lavorare insieme contro le sfide senza precedenti e le nuove minacce che la pandemia e la brutale aggressione della Russia all'Ucraina ci hanno posto davanti. Tutti crediamo nei valori democratici».

 

 

La posizione espressa dal Premier sulla possibile riforma in senso presidenziale ha già messo buona parte dei tromboni stonati progressisti in allarme. Ma perché la sinistra è così fortemente contraria a questo tipo di riforma? Il primo, banalissimo motivo, è il solito, trito e ritrito riferimento al fascismo. O meglio, alla trasposizione che i riformisti danno di un fenomeno storico accaduto cento anni fa. I nipotini di Carlo Marx hanno paura che, dare troppo potere ad un uomo solo, sia l'anticamera di una dittatura. Dimenticando almeno tre aspetti fondamentali. Il primo riguarda gli esempi che abbiamo intorno e che ci indicano come questo timore sia del tutto ingiustificato. Francia e Stati Uniti, per motivi diversi, sono due tra le più importanti patrie della moderna democrazia occidentale. Il sistema di pesi e contrappesi riesce ad equilibrare, senza sforzo, un presidente eletto direttamente dal popolo, dotato di poteri ben maggiori di chi, dal dopoguerra ad oggi, è salito al Quirinale. Non si può ovviamente dimenticare il contesto storico, nazionale ed internazionale, che portò al fascismo, completamente diverso dall'attuale. Inoltre, se questo ragionamento poteva aver un senso negli anni Sessanta, oggi la nostra democrazia, dopo quasi settant'anni di Repubblica, è sana e matura.

 

 

Non va inoltre dimenticato che l’elezione diretta da parte degli elettori, sia dei rappresentanti, sia del governo, sottrae potere a tutti i partiti. Il Pd che, da almeno un decennio, sopravvive grazie a nomine e poltrone, si troverebbe smarrito. Giorgia Meloni, pochi mesi dopo la sua elezione, affermò, senza mezzi termini, che «il presidenzialismo sarà la mia eredità». Nell'opposizione l'unico interessato ad un dialogo è Matteo Renzi che, quando era segretario dei dem, ha saggiato sulla propria pelle quanto siano indigesti per Botteghe Oscure i politici carismatici. E se il grillino Scarpinato ha definito la proposta del centrodestra come «un sogno neofascista», Carlo Cottarelli ha tuonato che «il presidenzialismo che piace tanto alla destra è pericoloso, già oggi il governo esautora il parlamento in troppi casi, con la riforma la situazione peggiorerebbe». E come dimenticare Enrico Letta che. durante la recente campagna elettorale, ha avversato in ogni modo questa piccola, grande rivoluzione. Una posizione così vincente, dall'essergli costata Palazzo Chigi.

 

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