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Carne sintetica in Italia vietata, il ministro Lollobrigida: "Difendiamo lavoro e salute"

Dario Martini
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«L’Italia è la prima nazione libera dal rischio di avere cibi sintetici. Così salvaguardiamo i cittadini e tutti coloro che frequentano il territorio nazionale». Il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, è appena uscito da Palazzo Chigi, e non nasconde la soddisfazione per aver incassato il via libera del Consiglio dei ministri al disegno di legge che vieta la produzione e la vendita di alimenti creati in laboratorio.

Ministro, come mai avete deciso di vietare un prodotto che ancora non viene commercializzato?
«In base al diritto di precauzione, previsto anche dall’Unione europea, l’ambiente e la salute pubblica vanno salvaguardate. Ecco perché io e il mio collega Schillaci abbiamo condiviso una proposta di legge che vieta l’utilizzo, la produzione, l’importazione e la vendita di prodotti realizzati in vitro».

Anche le multinazionali straniere, autorizzate nel loro Paese a produrre questi cibi, non potranno venderli in Italia?
«Nessuno potrà farlo. Il principio di precauzione è sancito dalle norme europee. Si tratta di un risultato coraggioso del governo Meloni che ha raccolto l’appello di quasi duemila Comuni e dell’ampia maggioranza delle Regioni che hanno approvato un ordine del giorno lanciato da Coldiretti».

A quali rischi si va incontro mangiando questi cibi?
«Intanto non sono stati testati per un periodo sufficiente. Questo è un fatto. Si tratta di tecnologie innovative che utilizzano un processo di trasformazione molto invasivo. Il caso di Israele è chiaro».

A cosa si riferisce?
«Lì c’è un solo ristorante che vende carne di questa natura. Però, prima di servirla, prevede la sottoscrizione di una liberatoria da parte del consumatore che si assume le responsabilità sui possibili danni alla propria salute».

Questo provvedimento arriva a pochi giorni da quello sulle farine di insetti. È così che si difende il Made in Italy?
«Sono due cose diverse. Nel caso delle farine di insetti parliamo di un processo naturale. Con i colleghi Schillaci e Urso abbiamo voluto che i cittadini possano avere la garanzia di una corretta informazione. Chi mangerà quei prodotti potrà farlo conoscendo i rischi in termini di potenziali allergie. Ma, ribadisco, si tratta di prodotti naturali. Cosa ben diversa, invece, è un processo di clonazione come nel caso dei cibi sintetici. La linea comune dei due provvedimenti è la difesa della salute. Ma anche la difesa del lavoro, dell’impresa e dell’ambiente. Se noi producessimo cibi in laboratorio, con l’utilizzo di bioreattori, sparirebbe la nostra biodiversità con la conseguente desertificazione del nostro modello di sviluppo. In ultimo, ma non è un fatto secondario, rischieremmo addirittura di andare incontro a un’ingiustizia sociale, con i più poveri che si nutriranno di cibi standardizzati e di bassa qualità, e i più ricchi, invece, che continueranno a nutrirsi in maniera adeguata».

Cosa ha pensato quando ha letto il Financial Times secondo cui la carbonara e il parmigiano sono stati inventati dagli americani?
«Di stupidaggini ne leggiamo tante. Spesso basta vedere la biografia di chi le scrive per capire tutto». Il «click day» per i lavoratori stranieri ha registrato una domanda superiore all’offerta. In futuro amplierete la platea? «Più diminuirà l’immigrazione illegale e più sarà possibile alimentare una norma che dal numero dei richiedenti funziona, permettendo di avere persone che arrivano senza rischi e con la possibilità di integrarsi».

Come mai non avete ancora approvato il decreto Siccità? I ritardi sono dovuti alla scelta del commissario o ci sono altri nodi da sciogliere? «No. C’è un lavoro molto attento e puntuale da parte di diversi ministeri. Purtroppo abbiamo avuto una serie di criticità e di sovrapposizioni nel tempo. Il governo intende agire nella maniera più corretta possibile. Deve farlo in fretta, ma bisogna considerare che veniamo da decenni di immobilismo. Sono emerse una serie di problematiche e di criticità che devono essere affrontate con una semplificazione normativa sul breve periodo e anche con la capacità di riuscire a ordinare i tanti soggetti che si occupano del problema. Abbiamo aperto un ragionamento con esperti, non solo nazionali, ma anche internazionali, per ricevere suggerimenti utili. La settimana scorsa ho incontrato l’ambasciatore israeliano Alon Bar a cui ho chiesto di illustrarci le soluzioni che hanno utilizzato ad esempio sulle acque reflue. Dobbiamo sviluppare un modello che ci assicuri di non disperdere più l’acqua, sia a fini industriali che agricoli».

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