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Pd, è già guerra di poltrone. Tensione Schlein-Bonaccini per i capigruppo

Angela Barbieri
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La trattativa interna al Partito democratico sulla scelta delle presidenze dei gruppi di Camera e Senato è ancora in stand by. La telefonata di domenica fra la segretaria Elly Schlein e il presidente Stefano Bonaccini non è servita a sciogliere i nodi. Nell’area del governatore dell’Emilia Romagna, infatti, cresce il fronte del no all’ipotesi di lasciare entrambe le presidenze alla maggioranza. Il mantra dei parlamentari che guardano a Bonaccini è smepre «in ogni caso, decide Stefano». A questo, tuttavia, viene aggiunto che «l’ipotesi di lasciare entrambi i capigruppo alla maggioranza del partito non può essere presa in considerazione. Non è mai successo», viene spiegato, «nemmeno quando a vincere è stato Matteo Renzi con oltre il 70%».

 

L’ex sindaco di Firenze, infatti, diventato segretario del Pd lasciò alla minoranza la presidenza del partito, affidata a Gianni Cuperlo, ed evitò di sostituire Roberto Speranza, scelto da Piarluigi Bersani, alla guida del gruppo a Montecitorio. In seguito, fu la volta di Graziano Delrio, da una parte, e Andrea Marcucci dall’altra. Al momento della votazione in assemblea alla Camera, il nome indicato da Renzi era quello di Lorenzo Guerini che, tuttavia, ritirò la candidtaura per fare spazio a Delrio, sempre della maggioranza, ma con un profilo meno spiccatamente renziano. A Delrio successe, poi, Debora Serracchiani in ballotaggio con Marianna Madia. A questi passaggi si appella chi adesso ricorda che «i gruppi parlamentari sono autonomi. Non vogliamo pacchetti chiusi».

 

I nomi più "caldi", al momento, rimangono quelli di Francesco Boccia e Chiara Braga. È sulla seconda che si concentra l’attenzione di chi si oppone a lasciare entrambi i capigruppo alla maggioranza. Braga, è il ragionamento, è già segretaria d’Aula e per fare la capogruppo dovrebbe lasciare l’oncarico. Per questa ragione è tornata in auge l’ipotesi di una conferma di Serracchiani.

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