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Sinistra litigiosa, vietato parlare bene di Giorgia Meloni

Pietro De Leo
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Regola numero uno: fair play vietato. Attaccare, sempre. Il lettore non crederà ai suoi occhi leggendo che questa è la norma di condotta del Pd. Già, gli ontologicamente buoni, pronti a giustificare l’ingiustificabile e a perdonare l’imperdonabile quando c’è di mezzo il retaggio sociale, cui rivolgere il pietismo, sono implacabili con gli avversari.

Ieri ha fatto le spese di questo uno di loro, Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia Romagna e candidato (favorito) al ruolo di segretario. Ieri ha avuto l’ardire di pronunciare queste terribili parole, a Coffee Break su La7: «Giorgia Meloni non è una fascista, è una persona molto capace. Ha idee molto diverse dalle mie e dovrà dimostrare di essere all’altezza di guidare il governo italiano. Usiamo misura nelle critiche perché sono appena arrivati», dice. Nessuna captatio benevolentiae, ma un ragionamento di equilibrio, valore che dovrebbe, come accadeva una volta, connaturare il dibattito politico. Parole, quelle di Bonaccini, che si agganciano al ragionamento espresso da Enrico Letta al New York Times. Il percorso intrapreso da Giorgia Meloni in politica economica, ha ragionato il segretario Pd, è meglio di quanto ci aspettassimo, aggiungendo, sempre rivolto al Presidente del Consiglio: «la realtà è che è forte». Solo che Letta ha le valigie già pronte per lasciare il timone di Largo Nazareno. Bonaccini, lo sta per agguantare. Ma entrambi diventano bersaglio di strali interni.

«C’è qualcosa che non va», punge Andrea Orlando. «Il governo Meloni è il peggiore di sempre», tuona invece Giuseppe Provenzano, che rincara: «come si fa a dire di "misurare" le critiche?». Reazione analoga anche da parte di Elly Schlein, competitor principale di Bonaccini. «Credo che Giorgia Meloni non abbia ancora trovato la postura nel nuovo ruolo. Lo penso dal primo discorso che ha tenuto alla Camera e sulla vicenda Delmastro e Donzelli». Arrivano in soccorso anche i nuovi sodali di Articolo 1: «La capacità principale della Meloni in questi mesi – nota Arturo Scotto - è stata quella di usare il manganello contro l’opposizione, soprattutto contro il Pd, per nascondere la propria inadeguatezza a governare l’Italia».

Tanto per utilizzare immagini nuove, non poteva mancare l’allusione al pericolo fascista. Il dibattito, però, ha avuto il suo peso. Tanto che addirittura, in serata, fonti del Nazareno bacchettavano Orlando: «dispiace che travisi le dichiarazioni di Enrico Letta al New York Times ai fini di una polemica interna che non ha alcun fondamento. Il segretario si è limitato a esprimere al quotidiano statunitense un giudizio positivo, che peraltro conferma, sul fatto che la premier Giorgia Meloni non ha infranto le regole di bilancio e le regole dell’Euro».

Bonaccini, dal suo canto, replica: «Bisognerebbe evitare polemiche strumentali, ho detto che Meloni è parsa una persona capace perché ha tenuto la posizione sull'Atlantico». E ancora: «io la destra preferisco batterla nelle urne, vorrei che anche altri avessero la priorità di batterla nelle urne e non con interviste sui giornali». Insomma, per una giornata intera, il fantasmagorico dibattito congressuale del Pd, vira sul grado di efferatezza verbale da rivolgere all’attuale leader del centrodestra. La campagna sta per chiudersi, e nello sterminato novero di argomenti che hanno tenuto banco, dalla data dei gazebo al voto web, dal presunto ingresso di Giarrusso alle tessere, ne manca sempre uno: la visione del mondo. Quella che dovrebbe essere la prima cosa, per un partito degno di questo nome.

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