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Il governo insorge contro lo stop Ue per le auto a benzina e diesel: fuori dalla realtà

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Dall’Europa arriva lo stop alle auto a benzina e diesel dal 2035, e il governo italiano non sembra prenderla bene. Da Antonio Tajani a Adolfo Urso la linea dell’Ue è considerata lontana dalla realtà, anche se a questo provvedimento - che è uno dei capisaldi del Green deal targato Ursula von der Leyen (e in questo caso del pacchetto ’Fit for 55’ sul taglio delle emissioni) - manca ancora il via libera del Consiglio Ue. Il ragionamento che si fa strada, oltre alla riflessione sulla necessità di una transizione ecologica in equilibrio con la salvaguardia della filiera produttiva dell’automotive e allo stesso tempo coerente con il mantenimento dei livelli dell’occupazione, è di rispondere nei fatti con una contro-proposta. Un’ipotesi ancora da costruire ma che potrebbe essere quella giusta per rispondere agli obblighi, e con cui provare a fondere nel giusto mix sostenibilità ambientale, economica, e lavorativa.

 

 

Ed è poi quello che si intuisce leggendo le parole del ministro delle Imprese e del made in Italy Urso, secondo cui i tempi e i modi dettati dall’Ue «non coincidono con la realtà»; per questo - a fronte di una strategia di accelerazione su investimenti, tecnologie, stabilimenti, batterie elettriche e infrastrutture di ricarica - «dobbiamo confrontarci con l’Europa». L’Italia è «in ritardo» per Urso, in particolare sulle colonnine: abbiamo 36mila punti di ricarica rispetto ai 90mila dell’Olanda. La scia cavalcata dal ministro degli Esteri Tajani è la stessa: gli obiettivi non possono esser solo sulla carta ma devono anche essere «raggiungibili». Quello dell’Ue viene quindi ritenuto un «grave errore», anche perché - avverte il capo della diplomazia italiana - «dobbiamo difendere la nostra industria automobilistica» che in questo modo potrebbe «perdere 70mila posti di lavoro» su un totale della filiera che impiega 250mila persone.

 

 

Sul versante operativo per Conftrasporto lo stop alle auto benzina e diesel al 2035 è «demenziale: un provvedimento che penalizza l’economia europea». Inutile fare «recriminazioni» per il Pd che - con l’ex viceministro, ora responsabile economia del Partito democratico, Antonio Misiani - chiede un Piano: politiche industriali per imprese e lavoratori e un milione di colonnine di ricarica pubbliche. Ma all’automotive nostrana manca sostanzialmente il tempo per arrivare pronti al 2035, e rispondere alla richiesta europea: secondo Urso non si può riuscire nella «riconversione del nostro sistema industriale» sia perché «siamo partiti tardi», sia «perché sono stati fatti diversi errori nel passato». Naturalmente nella querelle entra anche il mercato. Tanto che Stellantis ha già chiesto nuovi incentivi per sostenere la domanda di auto elettriche. Cosa che porta Urso a guardare però ai risvolti sociali degli effetti di quegli incentivi, ricordando che quelli dedicati «alle macchine elettriche lo scorso anno sono rimasti in gran parte inutilizzati: costano troppo per i salariati italiani e sono oggi sostanzialmente ad appannaggio dei ricchi in Italia. Noi non possiamo fare una strategia per i ricchi ma dobbiamo fare una strategia per tutti». Una rivoluzione green che inguaia l'Italia.

 

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