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Regione Lazio, imposte salva-sanità dirottate sui trasporti

Antonio Sbraga
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La Regione Lazio è uscita dal commissariamento della sanità nel luglio del 2020, però resterà in Piano di rientro fino al 2024. E fino ad allora i contribuenti laziali saranno costretti a pagare le maggiorazioni delle addizionali Irpef ed Irap, scattate al massimo delle aliquote sin dall’inizio del commissariamento proprio per coprire il maxi-debito sanitario. Dalla maggiorazione di queste addizionali il Lazio incassa un extragettito, pari a 753 milioni e 667 mila euro, di cui una buona parte, però, viene «dirottata» sul trasporto pubblico locale (338 milioni e 998 mila euro) su autorizzazione del tavolo di monitoraggio interministeriale.

Un’operazione che però viene considerata un’«anomalia strutturale» da parte della Corte dei conti. Perché su questa «quota di extragettito, destinata a concorrere, insieme con le risorse statali trasferite dal Fondo nazionale trasporti, al finanziamento del servizio di trasporto reso dall’Ente regionale, è di piana evidenza il carattere ormai "strutturale" dell’anomalia del ricorso a tale fonte di finanziamento, assentita dalle disposizioni del legislatore statale nell’immediatezza dell’adozione delle misure necessarie a intraprendere il necessario percorso di rientro dai considerevoli disavanzi accumulati dagli enti territoriali nel settore sanitario». Così hanno scritto nel «Giudizio di parificazione sul Rendiconto generale» i magistrati contabili. A loro avviso, infatti, un’operazione di questo tipo sarebbe preferibile farla «solo a seguito della compiuta verifica da parte del Tavolo tecnico della mancata formazione di nuovi disavanzi sanitari». Solo allora «sarà possibile per la Regione svincolare tali risorse e destinarle a diverse finalità di copertura». Anche perché il debito del consolidato sanitario regionale, negli ultimi tre anni analizzati dai magistrati contabili, ha subito «un incremento del debito totale che passa dai 3.507,19 milioni del 2018 ai 3.530,57 del 2019 per raggiungere i 3.660,90 milioni nel 2020». Mentre «al 31 dicembre 2021 lo stock di debito finanziario della Regione Lazio ammonta complessivamente ad euro 22.600.021.679», di cui 9.209.678.528 riguardano la sanità. Nel 2021 la Regione ha fatto anche registrare il più rotondo peggioramento del disavanzo (-83,5 milioni), secondo solo alla Puglia (-239) e ben più in rosso della Campania (-69,5).

Lo ha scritto il Ministero della Salute nella «Relazione al Parlamento sullo Stato sanitario del Paese 2017-2021», presentata alla fine dello scorso anno. Per il Lazio e le altre sei Regioni commissariate, dunque, ci sarà ancora la lente del Governo a scrutare i conti della sanità: «Per le sette Regioni già in Piano di rientro, in occasione delle rispettive riunioni di verifica tenutesi nel dicembre 2021, i Tavoli tecnici di monitoraggio hanno richiesto la predisposizione del Programma operativo 2022-2024 di prosecuzione del Piano di rientro, al fine di affrontare le problematiche non ancora risolte in materia di erogazione dei LEA e di sanare le situazioni di disavanzo economico-finanziario». Perché, anche se il 22 luglio 2020 è arrivato il decreto di uscita dal commissariamento della sanità laziale, durato ben 12 anni, con la Regione Lazio «rientrata nell’esercizio ordinario delle funzioni precedentemente ricomprese nel mandato commissariale», tuttora «restano ferme le modalità di verifica e affiancamento proprie del Piano di rientro» fino al 2024. Ci sono sei aziende, infatti, che hanno accumulato quasi mezzo miliardo di perdite nell’ultimo bilancio consuntivo. Il disavanzo registrato ammonta, infatti, a ben 468 milioni e 755 mila euro (oltre tre milioni in più rispetto all’anno precedente). A partire dalla maglia nera nazionale del San Camillo-Forlanini, in codice rosso per 134 milioni e 585 mila euro. Ma anche all’Umberto I il disavanzo è a tre cifre: -127 milioni e 49 mila euro. Profondo rosso anche al San Giovanni-Addolorata (-78 milioni e 954 mila euro), Sant’Andrea (-49.324), Ifo-Regina Elena (-41.633) e all’Ares 118 (-31 milioni e 497 mila euro). L’unica azienda che ha chiuso in attivo è stata l’Istituto Spallanzani: «La gestione relativa all’Esercizio 2021 si chiude con un utile di 3 milioni e 475 mila euro a seguito dell’assegnazione delle Funzioni Covid come da delibera della Giunta Regionale 761 del 29/09/2022». Però sono proprio le cinque aziende ospedaliere il primo "malato incurabile" del sistema sanitario laziale. Continuano a soffrire, infatti, delle stesse incontinenze di bilancio da ben dieci anni, con disavanzi complessivi di quasi mezzo miliardo registrato tanto nel 2013 (477 milioni e 281 mila euro) quanto nel 2022 (437 milioni e 258 mila euro). E nel corso di questi nove bilanci consuntivi, approvati nelle ultime due legislature regionali, hanno accumulato perdite complessive per ben 3 miliardi e 724 milioni.
 

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