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Pd, Bonaccini imbarca pure l'ex Iena Giarrusso: sconcerto nel comitato elettorale

Pietro De Leo
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Va bene, costruire una piattaforma programmatica è difficile, così come lo è non ergere (anche involontariamente) steccati che possano ripiegare su se stesso un progetto politico. Perché a finire in cortocircuito ci si mette un attimo. E pare che stia capitando a Stefano Bonaccini. Candidato alla segreteria del Pd, uno dei pochi ancora in grado di proporre all’opinione pubblica un modello di governo del territorio. Dato per vincente alle primarie, a fronte di una Elly Schlein (la sfidante sostanziale) troppo confinata in certi retaggi da sinistra radicale. Eppure, Bonaccini in quest’ultima fase di contesa congressuale pare soffrire la una dinamica piddina resa ancor più complessa dal ritorno di Articolo 1 e dalla presenza di molti esponenti che guardano al Movimento 5 Stelle. Il risultato è un messaggio spesso confusionario. Così, per esempio, ecco che Bonaccini, in passato sostenitore il percorso di segreteria e di premiership di Matteo Renzi, in un’iniziativa a Mirafiori ha sottolineato: «Intervenire sull’articolo 18 è stato un errore, bisogna andare oltre il Jobs Act, ci vuole una grande stagione delle riforme». Attaccando, dunque, una di quelle iniziative qualificanti che segnarono la premiership dell’attuale leader di Italia Viva. Che infatti ha preso nota e ieri ha risposto: «Finalmente smetteranno di dire che Bonaccini è renziano».

 

 

Renzi, peraltro, si riferiva anche all’ultima evoluzione della campagna congressuale: l’ingresso di Dino Giarrusso nel Pd, e il dichiarato sostegno alla candidatura di Bonaccini. L’ex inviato delle Iene, eurodeputato eletto con il Movimento 5 Stelle da cui poi è uscito, ieri ha fatto l’esordio con la casacca dem ad un’iniziativa a Milano a sostegno del Presidente dell’Emilia Romagna. Suscitando trasversale perplessità in tutto l’arco piddino, tanto che a sera filtrava un basso livello di entusiasmo (a essere eleganti) persino dal comitato Bonaccini. Il coordinatore della mozione, il sindaco di Firenze Dario Nardella, l’ha messa giù così: «Se ci sono persone che vogliono salire sul carro del vincitore, come succede sempre, dopo che ci hanno attaccato per anni, noi siamo democratici e apriamo le porte ma manteniamo le nostre idee. Sono gli altri che cambiano, non noi». Non proprio un benvenuto con tappeto rosso e banda del paese.

 

 

Eh sì, perché Giarrusso è annoverabile tra i «duri e puri» della prima fase del Movimento 5 Stelle, lido che poi ha lasciato in ampia polemica con Conte. Dunque, da un lato superare il jobs act, dall’altro arruolare uno dei nemici giurati del leader pentastellato. Una combinazione non proprio edificante se poi si vuol rendere sostanziale l’appello a collaborare. E Bonaccini, ieri, l’ha lanciato: «Come noi hanno perso anche i Cinque Stelle e il Terzo Polo. Quello che dico a loro è che siccome non dobbiamo allearci per le politiche nei prossimi mesi, è bene che cominciassimo a valutare se ci sono alcuni argomenti sui quali cominciare a fare opposizione insieme». Ma siccome il modo smanioso di condurre la partita non si limita solo a questo, ecco che, qualche giorno fa, ha provato a lanciare la proposta di «togliere il numero chiuso per l’accesso alle facoltà di medicina» in modo da contrastare la scarsità di camici bianchi in corsia. Tutto giusto, peccato arrivi in coda: si tratta infatti di una proposta che il leader della Lega Matteo Salvini rivendica oramai da molto tempo. Tanto vale allora, per Bonaccini, rifugiarsi nei rassicuranti retaggi del passato. In un’intervista al Corriere della Sera ha detto: «Sono stato un comunista emiliano. E non ho nulla di che vergognarmi, anzi ne sono orgoglioso». Legittimo, per carità, ma così che si spoglia di ogni attrattività potenziale per un elettorato di centro che guarda a sinistra. Insomma, una corsa preparata a lungo, la sua. E condotta bene in partenza. Ma ora l’affanno si fa sentire.

 

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