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Amato e Prodi seppelliscono il Pd: “Piccoli uomini, fare piazza pulita”

Luigi Frasca
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Dice Giuliano Amato che «il Pd non è più un partito, è un gruppo dirigente», incapace di «costruire una politica», perché a farla sono «tanti piccoli uomini che parlano fra loro di piccole cose». Aggiunge Romano Prodi che basterebbe proporre «quattro cose tranquille, dette chiare e la sinistra resuscita». Non capita tutti i giorni che due ex presidenti del Consiglio si trovino assieme a presentare un libro e decidano, tra le righe, di prendere a schiaffi il Pd. Ad ascoltarli in prima fila ci sono il vicesegretario del partito Giuseppe Provenzano e Roberto Speranza, protagonista del «ricongiungimento familiare» con Articolo 1. Ascoltano, ma quando vengono chiamati in causa non replicano. Siamo a Palazzo Mattei di Paganica, sede dell’Istituto della Enciclopedia Italiana. Alla fine della presentazione del volume di Carlo Trigilia «La sfida delle disuguaglianze. Contro il declino della sinistra»,

 

 

Prodi si ferma a conversare e non si sottrae alle domande. La sfida congressuale, per ora, non lo sta scaldando. Poche proposte, osserva, poca politica. Il Pd resta «un punto di riferimento fondamentale» nell’attuale panorama politico, sottolinea. Soprattutto in una stagione d’opposizione, dove la riforma presidenzialista che sogna il centrodestra «mi preoccupa». Poi, interpellato dall’agenzia Dire sullo stato di salute del Partito democratico, sentenzia: «C’è un’opinione pubblica totalmente disamorata. Se non c’è qualcuno che dice "facciamo piazza pulita" il Pd non si rialza».

 

 

Intanto il partito non è solo alle prese col segretario da eleggere. Ad agitare i dirigenti sono anche le segretarie e i segretari distaccati ai ministeri, una ventina, che stanno tornando al Nazareno dopo la fine del governo Draghi. Dal 2013 in poi, a parte una parentesi di un anno e due mesi il Pd è sempre stato al governo e molti suoi dipendenti, tra cui segretari e segretarie, sono stati assegnati agli uffici di quei dirigenti che andavano a ricoprire cariche di governo. Si tratta, tra l’altro, di un periodo che è coinciso con la fine del finanziamento pubblico ai partiti. Con la caduta del governo Draghi, tuttavia, molte di queste persone stanno tornando alla «casa madre»: si parla di un numero che va dalle venti alle 24 unità, con quel che ne consegue in termini economici per un partito che, da tempo, non naviga in buone acque dal punto di vista finanziario. I dipendenti del Pd sono da anni in cassa integrazione, qualcuno al 30 per cento, altri al 50 per cento. E l’ultimo rinnovo scade a settembre 2023. Uno dei problemi che si troverà a dover risolvere la nuova segerteria sarà anche il modo in cui queste professionalità, formate in anni di governo, potranno essere messe a disposizione di un partito che cerca di rinnovarsi, anche dal punto di vista organizzativo.

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