Guai a fallire sulle autonomie o salterà anche il presidenzialismo
La maggioranza ha il dovere di trovare un punto di equilibrio sull’autonomia differenziata tra le istanze delle regioni del Nord - che hanno trovato ampio riconoscimento nel progetto Calderoli - e la posizione più cauta di Fdi e Forza Italia, favorevoli a una riforma che preveda più meccanismi perequativi a garanzia degli interessi dell’intero Paese, per non acuire il divario già esistente tra Nord e Sud.
"La vera questione politica", Fini avverte Meloni: la sfida per il governo
Procedere a colpi contrapposti di ultimatum e di rinvii non conviene a nessuno, perché una falsa partenza sulle riforme rischierebbe di compromettere anche il percorso verso il presidenzialismo, oltre a gettare una scomoda ombra sulla solidità della coalizione. Sul tavolo però restano alcune questioni certamente non secondarie: il ruolo del Parlamento sulla definizione dei Lep (Livelli essenziali di prestazione) e sull’approvazione o meno a scatola chiusa delle intese tra Stato e Regioni; la definizione dell'ampiezza delle competenze da attribuire alle singole regioni a partire da scuola, sanità, infrastrutture ed energia; il fondo di perequazione il cui finanziamento non può essere previsto solo attraverso le future manovre di bilancio, con in sovrappiù la disputa sul superamento del criterio della spesa storica.
"Non remiamo contro", FI leale al governo. Autonomia e Mes: cosa succede
Ci vorrà dunque molta buona volontà, ma bisogna assolutamente archiviare una volta per tutte la riforma del Titolo V targata centrosinistra che ha causato un conflitto continuo di competenze tra Stato e Regioni. Un uso efficiente e razionale delle risorse da parte delle Regioni, con un rapporto vincolante tra costi e risultati è un obiettivo che rientra nell’interesse nazionale, ma settori strategici come energia, scuola, sanità e mobilità devono essere garantiti con gli stessi standard su tutto il territorio nazionale: ne abbiamo avuto una riprova drammatica col caos che si è verificato nella gestione della pandemia. Il rafforzamento dei poteri regionali, insomma, va sempre bilanciato con la presenza di uno Stato centrale forte. In questo senso, federalismo e presidenzialismo sono due facce della stessa medaglia perfettamente complementari.
"Tempi maturi per il presidenzialismo". La promessa di Berlusconi
Il processo di maggiore autonomia dei territori è positivo perché consente di aumentare la responsabilità delle comunità locali nella gestione della cosa pubblica nel rispetto dell’equilibrio tra i valori costituzionali. Le richieste del Nord, esplicitate nei referendum regionali, sono pienamente compatibili con la Costituzione, l’importante è attuare tutte le parti previste della Legge sul federalismo fiscale, in particolare mediante la definizione dei fabbisogni standard nazionali, l’attivazione del Fondo di perequazione e garantendo i Lep in modo uniforme sul territorio nazionale. La previsione di un’autonomia virtuosa e solidale risponde a palesi esigenze di maggiore efficienza ed economicità, consentendo così una maggiore capacità di lettura dei fabbisogni locali. In poche parole: meno Stato dove il sistema delle Autonomie dimostra maggiore efficienza e più Stato per rimuovere gli squilibri economici e sociali tra le diverse aree del Paese.
Nel discorso di reinsediamento davanti alle Camere, il presidente Mattarella sottolineò «il ruolo decisivo» delle Autonomie, aggiungendo che dalle risposte che saranno date dipenderà la qualità della nostra democrazia. Poi, nel messaggio di fine anno ha ricordato che «le differenze legate a fattori sociali, economici, organizzativi, sanitari tra nord e sud creano ingiustizie, feriscono il diritto all’uguaglianza». Sono due constatazioni oggettive, delle quali occorre tenere debitamente conto: le autonomie vanno rafforzate senza correre il rischio di disgregare la coesione nazionale.