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Bonaccini invidia gli avversari: “Gli altri partiti si fanno capire, il Pd no”

Pietro De Leo
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Ma quale complesso di superiorità, quale intangibilità identitaria! Stefano Bonaccini, candidato (probabile vincitore) a segretario del Pd getta la maschera e si toglie un peso (politico) dallo stomaco: «Ho invidiato in questi anni Fratelli d'Italia, la Lega, Movimento 5 Stelle, perché in un minuto capisci chi sono. A volte col Pd non lo capisci dopo mezz'ora». Un pensiero cristallino quello dell'attuale presidente dell'Emilia Romagna, che assesta un colpo d'accetta all'arabesco del confronto interno Pd, per settimane campo di battaglia su regole, date di voto, estenuanti duelli sul voto online. Ed esperimento efficace, per quanto cruda autocoscienza è rispecchiarsi nel campo dei nemici. Più che il Movimento 5 Stelle (con cui comunque il PD è stato alleato fino allo scorso luglio), Fratelli d'Italia e la Lega. I partiti dei brutti e cattivi, accusati di nefandezze sul piano ideologico e sociale, incubo dei cosiddetti intellettuali d'area a partire da Roberto Saviano. Eppure, diventati parametro quasi scientifico del rapporto tra partito ed elettore.

 

 

E sul punto Bonaccini approfondisce: «Abbiamo regalato milioni di voti di partite Iva alla Meloni», fa notare il candidato a segretario. E a questo proposito, Bonaccini racconta di un breve scambio verbale con una paio di giovani autonomi, che hanno lamentato come il Pd, per anni, abbia dimostrato un pregiudizio verso la categoria («ci avete descritto per evasione fiscale ma ti possiamo raccontare la fatica che facciamo»). «Quelli devono riguardare anche noi - osserva Bonaccini - a volte la sinistra con una serie di tabù incomprensibili ha tenuto fuori» questa parte di società. Ancora, il Presidente dell'Emilia Romagna sottolinea la necessità di «aprire una fase nuova per il Pd». E rassicura, sia con un occhio al futuro sia, probabilmente, con uno sguardo rivolto a quanto accaduto in passato: «Non si manda via nessuno, ma abbiamo nei territori tante ragazze, tanti ragazzi, una classe dirigente giovane, a partire dagli amministratori e dalle amministratrici locali, tanti dirigenti che non hanno mai chiesto nulla», ma che invece possono dare un apporto «per una nuova stagione del Pd».

 

 

Altro tema, poi, la connotazione culturale da far maturare al Pd nel futuro che, secondo Bonaccini, dovrebbe essere «un partito laburista e più popolare: dobbiamo tornare dove siamo spariti, la coerenza della presenza di può portare a risultati». E ancora: «Un Pd che parli meno di nomi e cognomi, perché sennò ti rimane troppo poco tempo per i contenuti, che parli meno degli altri. Se vincerò, chiederò un incontro a Giorgia Meloni per andarle a dire che da noi avrà sempre rispetto e lo pretendiamo: la gente non ne può più della politica litigiosa». Condivisibile, ma «vaste programme», parafrasando il generale De Gaulle, considerando il livello di conflittualità interna che il Pd ha dimostrato nei suoi quindici anni di vita. Vortica, dunque, la campagna elettorale per le primarie, a livello tale che, arrivato ad Assisi, il van con cui Bonaccini si sposta viene parcheggiato in sosta vietata. «Le regole valgono per tutti e tutti dovrebbero essere sullo stesso piano», tuona il capogruppo leghista in Regione Umbria, Stefano Pastorelli. Per carità, non infieriamo, che di pene con le regole il Pd già ne ha avute di sue.

 

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