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Meloni è diventata Regina degli scacchi. Bisignani: “Tutti pazzi per lei”

Luigi Bisignani
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Caro direttore, nemesi storica della politica è proprio il caso di dire: più l'opposizione e, paradossalmente gli stessi alleati, si affannano a minare la strada alla Meloni - dalle accise ai balneari, dal Mes al Pnrr - più all'estero, al contrario, sono tutti pazzi per Giorgia. Per mesi la stampa «allineata», corroborata dal coro degli intellettuali di turno, ha dipinto la Meloni come Eris, la dea della discordia, che sarebbe stata bandita dai simposi internazionali che contano, isolando il nostro Paese. Al momento, invece, è evidente che si è verificato esattamente il contrario: anzi, «la scelta peggiore», come è stata definita dal non certo «migliore» Enrico Letta, viaggia nei sondaggi intorno al 30%. Alla premier è riuscito perfettamente di allontanare modalità muscolari in favore di atteggiamenti più prudenti e meno impulsivo-populisti. Da underdog a rivelazione internazionale che sta muovendo passi in grande stile nella politica europea. A Bruxelles, infatti, Ursula Von der Leyen ne parla con considerazione e stima. Inoltre, con una gran mossa, ha mandato in tilt quel che resta di Forza Italia quando, dopo i funerali di Papa Benedetto, ha incontrato a Palazzo Chigi il presidente del Partito Popolare Europeo-Ppe, Manfred Weber. Tuttavia le intenzioni di Meloni non sono di entrare nel Ppe, cosa che invece avrebbe dovuto fare a suo tempo Matteo Salvini - come da queste colonne più volte lo invitammo a fare - bensì di creare un'alleanza tra Conservatori e Partito Popolare in modo da mettere fuori gioco il Partito Socialista Europeo-Pse. Qualora riuscisse nell'intento, potrebbe farsi garante di quei Paesi dell'Est Europa Polonia, Romania e, soprattutto Ungheria, con il suo a dir poco esuberante Orban - per evitare di consegnarli nelle mani di Putin. 

 

 

Apertura da Regina del gioco la sua, anzi, per dirla in gergo scacchistico una «Partita italiana». Del resto, il presidente Cossiga diceva sempre: «Esistono due modi per andare a Washington: o ci vai direttamente o vai a Londra e da lì poi vai a Washington». Giorgia ha scelto la seconda. A Washington le stanno preparando una visita di tutto riguardo e perfino il leader cinese Xi pare abbia chiesto di poterla incontrare nuovamente perché la ritiene l'unica premier del Vecchio Continente dotata di carisma per una leadership forte. La testimonianza delle belle parole usate da Papa Francesco - dopo il loro recente incontro, proprio lui che notoriamente è allergico alle visite dei politici - ne è la conferma. Meloni ha ben chiaro che ora deve utilizzare bene tutte le pedine a disposizione nel suo scacchiere, a partire dalle nomine pubbliche. E lo sta facendo con estrema scaltrezza. Il caso più emblematico è stato quello del rinnovo del direttore dell'Agenzia del Demanio dove siede, tra i malumori di tutti i dirigenti, Alessandra Dal Verme, cognata preferita del commissario europeo Paolo Gentiloni. Due giorni prima del rinnovo era già stato indicato per quel posto un alto dirigente interno, clamorosamente messo da parte a poche ore dalla riunione del Consiglio dei Ministri dopo che, pare, da Bruxelles il parente commissario Ue ha protestato con Chigi, Mef e addirittura Quirinale, all'insegna del più classico adagio «tengo famiglia» e anche, forse, per un'importante operazione in corso sui beni demaniali che ruota attorno alla potente banca Crédit Agricole. 

 

 

Ma la partita delle partite è quella attorno al direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera, prodromica all'allontanamento da Cassa Depositi e Prestiti di Dario Scannapieco. Palazzo Chigi e Mef sono molto irritati dal fatto che l'Ad di Cdp, oltre ad essere andato oltre il grottesco nella vicenda Tim, vada dicendo di non avere fondi da investire per il rilancio delle filiere industriali mentre basterebbe copiare i colleghi francesi e tedeschi sui parametri applicati da destinare agli investimenti. Per allungare la sua sopravvivenza il «Draghi Boy» sta ora cercando di sponsorizzare come dg del Tesoro il suo amico Cristiano Cannarsa, per lunghi anni in Cdp e attualmente in Consip. Pertanto, ad oggi, la sostituzione di Rivera è una partita tutta aperta. Democristianamente il ministro dell'Economia sperava che Rivera cambiasse aria spontaneamente, in continuità con la miglior tradizione che in quell'incarico vede porte girevoli (Draghi, Siniscalco, Grilli) verso le grandi banche d'affari, Jp Morgan, Goldman Sachs o Morgan Stanley. Ma evidentemente, almeno per adesso, nessuno ancora si vuole caricare sul groppone il burocrate abruzzese. I candidati più accreditati dall'interno sono Antonino Turicchi, oggi presidente di Ita Airways, e Stefano Scalera. Ma, a sorpresa, alcuni ministri di peso nell'attuale Governo hanno rispolverato il curriculum di Fabrizio Pagani, considerato un «commis de l'État» bipartisan che assieme a Gianpiero Massolo ha seguito come sherpa il maggior numero di G7 e G20, oltre ad essere stato a lungo al Mef, di casa all'Ocse e a Bruxelles, nonché profilo giusto per riallacciare i rapporti tesi con Parigi. Una pedina utile nella scacchiera europea della premier in vista della Presidenza italiana del G7. Giorgia sta imparando anche a giocare d'anticipo spiazzando amici e avversari.

 

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