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Quando il Pd non voleva multare i negozianti che non accettavano le carte

Armando Di Mauro
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Sanzioni sì, sanzioni no. Mentre il presidente dell'Abi Antonio Patuanelli se ne lava le mani («le banche non hanno il monopolio del Pos») e Bankitalia attacca («ad un esercente costa più il contante»), la questione dei pagamenti in moneta elettronica continua a turbare le notti e i giorni del fronte progressista. Ed in particolare di Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, che non perdono occasione per inveire contro il governo, reo - a loro avviso, ca va sans dire- di favorire sistematicamente l'evasione di piccole imprese, autonomi e professionisti. Eppure, procedendo ad un'analisi più attenta della storia del provvedimento, emerge con chiarezza che i primi a non volere le sanzioni per le imprese che non accettano pagamenti in moneta elettronica sono stati proprio il Movimento e, soprattutto, il Partito Democratico. Il tormentone del Pos, infatti, non è una novità: l'obbligo di averlo e di accettare pagamenti in moneta elettronica risale addirittura al 2012. Dieci anni fa. Con il decreto «Crescita 2.0» il governo guidato da Mario Monti decide infatti che a partire dal 1° gennaio 2014 gli esercenti avrebbero dovuto accettare «anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito», quindi con bancomat. Il decreto delega poi a Mef e Mise per i decreti sulle modalità di attuazione e l'importo di eventuali sanzioni amministrative pecuniarie. Sanzioni mai arrivate.

 

 

Già nel gennaio del 2014, infatti, Monti non è più presidente del consiglio. E il nuovo governo a traino Pd, guidato da Enrico Letta, alza per la prima volta la soglia: risale proprio ad allora, infatti, il decreto del Ministero dello Sviluppo economico che stabilisce che l'obbligo relativo ai pagamenti elettronici sarebbe stato valido solo per importi superiori ai 30 euro. A febbraio dello stesso anno, l'obbligo viene spostato al 30 giugno 2014, «per consentire alla platea» di imprese e professionisti di «adeguarsi e dotarsi di strumenti per i pagamenti mediante carta di debito». L'obbligo entra effettivamente in vigore in quella data: ma le sanzioni per chi trasgredisce non si materializzano nemmeno stavolta. Nel 2015 il governo, sempre a traino Pd, ma ora guidato da Matteo Renzi, aggiunge ai metodi di pagamento anche le carte di credito e abbassa l'importo minimo utile per far scattare l'obbligo da 30 a 5 euro, delegando un'altra volta ai vari ministeri coinvolti decreti per la definizione precisa delle sanzioni per mancato rispetto dell'obbligo e i casi di «oggettiva impossibilità tecnica» di rispettarlo. Decreti che, ovviamente, non sono mai arrivati. Neanche con il governo successivo, sempre targato Partito democratico ma pilotato ora da Gentiloni. Che, tra 2017 e 2018, tenta con un decreto del Ministero dello sviluppo economico di imporre una sanzione da 30 euro in caso di rifiuto dei pagamenti elettronici. Il provvedimento però viene bocciato dal Consiglio di Stato: non perché la sanzione non fosse legittima, ma perché deve essere imposta per legge, non per decreto ministeriale.

 

 

Nel 2019 ci riprova Conte: le sanzioni sarebbero dovute entrare in vigore dal 1° luglio 2020, ma durante la conversione in legge del decreto l'articolo sulle multe è eliminato, anche a causa - pensa un po' - dell'opposizione interna, stavolta proprio dalle fila del Movimento 5 stelle. Tanto che toccherà proprio al governo Draghi, nel 2022, stabilire finalmente le sanzioni. Insomma, una lunga, travagliata storia per un piccolo provvedimento. Che però dà il contesto: sono stati governi sostenuti, o più spesso guidati, dal Pd a non riuscire a mettere le sanzioni fino all'arrivo di Draghi. Ed è sempre stato il Partito democratico il primo ad alzare la soglia dell'obbligo da 0 a 30 euro, che ora il governo Meloni vorrebbe elevare ulteriormente a 60, certamente non cancellare. Viene da chiedersi, a questo punto: ma non è che era il Pd a voler favorire gli evasori?

 

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