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M5S tra incarichi, buonuscite, uffici e staff: scoppia il caso Crimi e Taverna

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Si fa presto a dire anti-Casta. La verità è che poi, finitala traversata nel «Palazzo», si torna a fare i conti con la vita da comuni mortali. E per chi ha trascorso una decina d’anni nelle stanze del potere lo choc è terribile. Tantoda far vacillare certezze e antiche battaglie. È il caso degli ex grillini, che dopo aver invaso il Parlamento al grido di «apriamola scatoletta di tonno», ora sono meno rigidi su quelle che dovrebbero essere le prerogative di un autentico pauperista.

POLTRONE DI CONSOLAZIONE
Il caso di cui si è parlato più diffusamente negli ultimi giorni è quello di Vito Crimi e Paola Taverna. Che non sono proprio grillini di seconda fila, essendo stato il primo reggente del Movimento nella lunga transizione da Di Maio a Conte e la seconda vicepresidente del Senato. A loro, rimasti fedeli all’ortodossia contiana nonostante il veto allacandidaturaperraggiunto limite dimandati, è stato offerto un salvagente sotto forma di contratti da collaboratori del gruppo parlamentare grillino. Lostipendio?Settantamila euro lordi l’anno, che si traducono in circa3.000netti al mese. Una circostanza che non è andata giùai venti collaboratori storici che, al contrario, a causa della dimuzione degli eletti, sono stati cortesemente congedati.

LA GIRAVOLTA SUL TFR
Crimi e Taverna fanno compagnia a tutti i non rieletti del Movimento che hanno deciso di incassare, seppur parzialmente, il Trattamento di fine rapporto alla conclusione dell’esperienza da onorevole. I dettami del «primo» M5S imponevano la rinuncia all’intera somma. E così fece, ad esempio, Alessandro Di Battista quando non si ricandidò nel 2018. Stavolta, però, Conte avrebbe modificato la procedura. Anche per non avviare una serie di provvedimenti disciplinari nei confronti degli ex che si fossero opposti alla restituzione. La mediazione?Rinunciaresolo al20%delTfr,tenendosi invece l’80. Tradotto in cifre, per ogni legislatura si perderebbero 8mila euro sui 44mila maturati. Per chi ne ha due, la rinuncia sale a 16mila su 88mila. Il cuscinetto è comunque garantito.

STAFF E UFFICIO «PROROGATI»
C’è poi il caso di Roberto Fico. L’ex presidente della Camera ha deciso di avvalersi, così come previsto dai regolamenti,diunufficio a Montecitorio e di un mini staff di due collaboratori per altri cinque anni dopo la cessazione dell’incarico. Lui ha chiarito che non percepirà alcun emolumento e ha respinto le critiche dell’ex amico Di Battista sostenendo di non accettare «lezioni di morale da nessuno». Va annotato, però, come lo stesso Fico avesse inaugurato il suo mandato da presidente recandosi in bus a Montecitorio. Un’abitudine, rapidamente dismessa, che un po’ cozza con le - legittimissime - abitudini odierne.

CHE CI FACCIO CON L’INDENNITÀ?
A proposito di cariche importanti, nella scorsa legislaturail M5Simponevaagli eletti cheavevano diritto a indennità di ruolo (presidenti e vicepresidenti delle Camere, segretari d’aula, questori) di rinunciarvi. «Il Domani» ha chiesto ai vertici grillini se anche ai nuovi parlamentari sarà imposto il sacrificio. La risposta? Il partito non ha ancora datoistruzioni.Lalotta allaCasta,insomma,non è più una priorità.

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