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Quando la Lamorgese voleva il decreto anti Rave (e la sinistra non fiatava)

Dopo il raduno di Viterbo, nell'agosto 2021, l'allora titolare del Viminale chiese uno strumento legislativo per fermare i rave. Pd e M5s non si scandalizzarono

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Quando, nel Ferragosto del 2021, esplose in Italia la polemica sul rave nel viterbese che si concluse con un bilancio tragico - un morto annegato, due stupri, diversi giovani ricoverati in coma etilico, un focolaio Covid - l'allora ministro dell'Interno Luciana Lamorgese difese il suo immobilismo addossando le colpe alla mancanza di una disciplina legislativa in grado di contrastare il fenomeno. Disciplina a suo dire presente - e molto dura - negli altri Stati europei.

Sembra uno spot alla normativa voluta dal centrodestra, invece sono le parole prese pari pari da un'intervista concessa proprio da Lamorgese al Messaggero in quelle settimane e ora rilanciata da "La Verità". «Le leggi in vigore», disse la Lamorgese al Messaggero, «non ci mettono in condizione di contrastare questi grandi rave illegali come avviene in altri Paesi d'Europa dove le norme sono più severe.

Il ministero dell'Interno», aggiunse la ex titolare del Viminale, «sta lavorando a un'ipotesi di fattispecie criminosa che consenta di disporre la confisca obbligatoria dei veicoli e degli strumenti necessari per l'organizzazione dell'intrattenimento e che preveda l'obbligo del ripristino dei luoghi. Potremmo introdurre la possibilità di ricorrere ad altri strumenti investigativi, come già avviene per diversi reati di particolare gravità. Tutto questo per allinearci alla legislazione degli altri Paesi europei, nei quali, evidentemente, oggi gli organizzatori dei rave party rischiano molto di più. Su queste ipotesi», concluse la Lamorgese, «ci sarà un confronto con il ministero della Giustizia».

Poi il confronto con Cartabia terminò con un nulla di fatto, probabilmente per le perplessità dell'allora Guardasigilli di prevedere le intercettazioni telefoniche come arma di prevenzione rispetto a questo tipo di fenomeni. Ma il dato interessante è che durante tutto quel dibattito nessuno a sinistra, né nel Pd né nel M5s, si alzò per protestare e per denunciare il rischio di ritrovarsi in uno "Stato di polizia", come ha fatto invece "Giuseppi" Conte nei confronti del decreto voluto da Piantedosi. Un classico caso di doppia morale o di giravolta. Specialità nella quale il capo grillino è il massimo espero.

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