Luca Ciriani, ministro per i Rapporti col Parlamento: dalla pace fiscale soldi per le bollette
Prima la legge di Bilancio con i provvedimento taglia-bollette. Poi le altre riforme economiche e il presidenzialismo, sul quale governo e maggioranza sono pronti a dialogare con tutte le opposizioni ma senza voler rischiare di finire in un pantano. Luca Ciriani, ministro per i Rapporti con il Parlamento, ex capogruppo di Fratelli d’Italia in Senato e fedelissimo di Giorgia Meloni, spiega a <CF202>Il Tempo</CF> i primi passi del nuovo governo di centrodestra nei prossimi mesi.
Ministro Ciriani, che tempi dobbiamo aspettarci per la legge di Bilancio? Quando arriverà in Parlamento?
«È ancora impossibile stabilire una data precisa. Dobbiamo ragionare bene sui tempi. Di certo non saranno brevissimi. Il mese di dicembre sarà molto impegnativo per le Camere. Le elezioni a fine settembre ci hanno fatti arrivare un po’ lunghi con i tempi, ma ricordo che anche con il governo Draghi la Manovra fu approvata tra Natale e Capodanno. Credo sarà ancora così. Il mio impegno sarà quello di garantire che il Parlamennto sia messo in condizione di lavorare, assicurando i tempi necessari, coinvolgendo deputati e senatori senza compressioni del dibattito in Aula. Ma è evidente che i tempi sono stretti».
Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha spiegato che la prima emergenza da affrontare sarà il caro-bollette e che le misure per abbattere i conti di gas ed energia elettrica assorbiranno gran parte delle risorse. Ci sarà spazio per altri provvedimenti presenti nel programma del centrodestra, come pensioni e superamento della legge Fornero, flat tax, taglio del cuneo fiscale, revisione del Reddito di cittadinanza?
«Dobbiamo cercare di capire l’esatto stato dei conti pubblici, anche analizzando le note di aggiornamento del Def. Allora capiremo l’ammontare esatto delle risorse a nostra disposizione. Mi sentirei tuttavia di escludere previsioni troppo ottimiste. Certo, vorremmo introdurre subito la flat tax incrementale e l’abbassamento del costo del lavoro con il taglio del cuneo fiscale per aiutare le imprese e aumentare il potere d’acquisto delle famiglie. Ma i margini sono stretti e dobbiamo capire se c’è la possibilità di farlo e fino a che punto. Però la legislatura dura cinque anni e ci sarà tempo e modo per realizzare il programma. Oggi l’emergenza è contrastare il caro-bollette, su questo l’aspettativa dei cittadini e delle aziende è altissima e non vogliamo deluderla».
La pace fiscale quindi verrà affrontata più avanti.
«Speriamo di introdurla già in questa legge di bilancio, ma sia chiaro che non si tratterà né di un condono né di un colpo di spugna. Su questo vogliamo essere chiari. L’Agenzia delle Entrate siede su una montagna di milioni di cartelle esattoriali ormai inesigibili. Soldi che lo Stato non recupererà mai. Dobbiamo distinguere tra queste e quelle cartelle esattoriali che sono invece esigibili. Su queste dobbiamo mettere cittadini e imprese, già duramente colpite dal Covid, nelle condizioni di poter pagare, stabilendone tempi e modi. È un accordo che conviene a tutti, la pace fiscale è un interesse comune: dello Stato, dei cittadini e delle imprese. Consentirà di recuperare somme importanti che verranno utilizzate, ad esempio, anche per finanziare i provvedimenti contro il caro-bollette».
Gli alleati sono particolarmente attivi in questi giorni. La Lega ha rilanciato la proposta dell’aumento del tetto sull’uso del contante e del ponte sullo Stretto. Sono tempistiche concordate nell’agenda di governo? Forza Italia ha messo un po’ in imbarazzo il premier con il Ddl Gasparri sulla personalità giuridica del feto.
«Il centrodestra ha un programma comune e condiviso sul quale abbiamo chiesto il consenso degli italiani, ottenendo milioni di voti e vincendo le elezioni. Non mi scandalizzo se i partiti di maggioranza cercano visibilità o vogliono caratterizzare l’azione di governo su alcuni temi. È sinonimo di vitalità della coalizione, non si tratta di provocazioni o fughe in avanti. Alla fine la sintesi spetta a Giorgia Meloni, che è garante del programma di centrodestra. Il Ddl Gasparri era stato già depositato nella scorsa legislatura. Ripeto, c’è un programma di cui Giorgia Meloni è garante. In Parlamento sapremo trovare la sintesi con tutto il centrodestra e spero anche con le opposizioni. Si tratta di normale dialettica politica».
Sul tetto all’uso dei contanti conferma che si è trovato l’accordo sulla soglia di 5.000 euro?
«Il limite potrebbe essere quello. Anche FdI, del resto, ha proposto questa misura quando era all’opposizione, proponendo come soglia i 5.000 euro di cui parla il programma di governo. Su questo provvedimento con Lega e FI c’è totale sintonia. Si tratta di consentire un maggiore uso del contante, senza demonizzarlo, in modo da riallinearci alla maggioranza dei Paesi europei e da limitare l’uso della moneta elettronica che spesso fa l’interesse della banche ma non dei cittadini».
Preoccupato dalle fibrillazioni all’interno di Forza Italia? Alcuni esponenti azzurri, come Giorgio Mulè, non hanno mancato di far notare alcuni distinguo, dicendo ad esempio che alzare il tetto all’uso del contante non è una priorità o criticando la proroga per il pagamento delle multe agli over 50 che non si sono sottoposti al vaccino anti-Covid.
«Nessun allarme. Non vedo polemiche, ma solo una normale dialettica all’interno della maggioranza. Siamo andati uniti alle elezioni, abbiamo vinto, abbiamo fatto un governo in tempi rapidissimi. Stiamo costruendo una squadra che deve lavorare insieme, e bene, per cinque anni. Naturale, anzi inevitabile, che ci siano delle scosse di assestamento, così come rapporti di forza e legittime ambizioni. Mi limiterei a guardare gli aspetti positivi. Finora non abbiamo sbagliato un colpo. Giorgia Meloni non ha sbagliato un colpo. Si è discusso, si è parlato e alla fine si è presa la responsabilità e il coraggio di decidere. Va bene parlare, ma non possiamo perdere settimane a discutere. Questa impostazione sta funzionando bene».
A proposito, a che punto siete con i sottosegretari? Anche lì c’è stato qualche problema in FI.
«È normale che ci siano personalismi, spinte per entrare nel governo. Succede in tutti gli esecutivi e in tutti i partiti. Siamo ai dettagli. Lunedì (domani ndr.) chiudiamo, dobbiamo solo risolvere alcune ultime questioni».
Come la quota da destinare a Noi Moderati, che chiede più dell’unico sottosegretario che ad oggi gli spetterebbe?
«C’è quel tema, ma anche quello delle presidenze di Commissione, che riguarda non solo i numeri. Questo partito ne chiede alcune, quell’altro partito ne vuole altre o magari la stessa. Normale. È un gioco a incastri che richiede qualche giorno di lavoro».
Veniamo alle opposizioni. Sono arrivate tante accuse strumentali: le donne, i diritti, il fascismo. Reputa impossibile un dialogo?
«Con quale delle opposizioni?».
Partiamo da Matteo Renzi. In Senato ha attaccato più il Pd che Meloni.
«Si è detto disponibile a dialogare sulle riforme. Vedremo e valuteremo la sua effettiva credibilità con gli atti concreti. Se sarà disponibile a discutere con il centrodestra noi ci saremo e lo faremo senza pregiudizio».
Sul presidenzialismo è possibile un’intesa?
«La Costituzione non si può cambiare sui diritti. Non è nostra intenzione neppure pensarlo. Si può invece ragionare sulla forma di governo, per realizzare finalmente una democrazia decidente, con un premier eletto direttamente dai cittadini e che abbia maggiori deleghe. Non vogliamo fare le riforme da soli, per questo abbiamo anche proposto una Bicamerale. Se Renzi vuole ragionare noi siamo qui».
Si dice gli piacerebbe presiedere la Bicamerale.
«Prima stabiliamo il perimetro della Bicamerale, cosa deve fare e in che tempi. Altrimenti si rischia di farla diventare un dibattito accademico. Il suo scopo è quella di allargare il tavolo delle riforme, coinvolgendo non solo la maggioranza, ma cercando di andare oltre. Poi parleremo anche di chi la potrà presiedere».
Presidenzialismo e autonomia e Roma Capitale hanno percorsi diversi?
«No, viaggiano assieme. Se aumentiamo i poteri del premier, introducendo il presidenzialismo o il semipresidenzialismo, rafforziamo anche l’unità dello Stato. Sarà naturale quindi concedere maggiori poteri e autonomia alle Regioni. Questa riforma, che possiamo anche chiamare del sindaco d’Italia, tiene tutto in equilibrio e crea un bilanciamento tra potere centrale e autonomie. E, oltretutto, evita ribaltoni, maggioranze variabili. Al contrario consente di sapere subito chi vince e chi perde, chi governa e chi è opposizione. È una battaglia di civiltà e di democrazia. Certo, toglie un po’ di potere ai partiti, ma ne restituisce tanto ai cittadini e ridà credibilità alla politica».
E Pd e M5S? Dialogherete anche con loro?
«Noi siamo pronti a parlare con tutti, purché non si arrocchino su posizioni pregiudiziali fuggendo dal confronto. Per ora non arrivano segnali incoraggianti. Temo che il M5S si chiami fuori, almeno così sembra. Quanto al Pd, prima di avere un interlocutore dovremo aspettare marzo, quando ci sarà il congresso. Oggi c’è un segretario a fine corsa e un pletora di pretendenti alla successione. Difficile in queste condizioni avere un interlocutore. Ma temo che anche dopo il congresso, le opposizioni continueranno una campagna elettorale permanente almeno fino alle europee, per regolare i conti nel campo del centrosinistra».