Senato, Renzi asfalta il Pd: "È masochista". E apre a Meloni sul presidenzialismo
Per carità, a essere maliziosi si fa peccato. È dunque vietato collegare il soccorso invisibile dato all’elezione a Presidente del Senato di Ignazio La Russa alla prima votazione, che ha vanificato la non partecipazione di Forza Italia, e che ha visto Matteo Renzi come principale indiziato, con l’intervento svolto ieri dal leader di Italia Viva.
In Senato lo show di Renzi sul Pd. E Giorgia Meloni scoppia a ridere
Una dichiarazione di voto dove ha, ovviamente, annunciato il no alla fiducia al governo Meloni, ma utilizzando uno stile e impiattando una sostanza ben diversi rispetto all’aggancio Pd-Movimento 5 Stelle, da cui si è distanziato e con cui ha mostrato di voler (ancora) battagliare. Tipo quando ha sottolineato l’assurdità degli attacchi a Giorgia Meloni provenienti da un Pd che, punge il leader di Italia Viva, «ha contestato la premier sulla rappresentanza femminile. È una donna che ha vinto delle battaglie. Tutto si può dire alla Presidente Meloni, tutto, ma alla trentunesima presidente del Consiglio dopo trenta maschietti», sollevare la questione femminile su di lei «è masochismo». Non finisce qui. Renzi difende il Presidente del Consiglio da attacchi a livello personale che potrebbero turbare la sua dimensione di mamma (pur togliendosi, in questo caso, qualche sassolino dalla scarpa quando alludendo agli attacchi politici che lui ricevette da Fratelli d’Italia a suo tempo per via delle traversie giudiziarie dei genitori). Stigmatizza la canèa messa in piedi dal Pd sul tema scolastico. Anche qui, è molto perentorio: «Lo dico agli amici del Pd: non riesco a capire come sia possibile che il primo argomento di discussione sia attaccare la maggioranza per il merito, per il nome dato ad un ministero... lo dico a Simona Malpezzi che era una pasdaran del fatto che bisognasse inserire il merito nella buona scuola». Insomma, è una linea che guarda allo ieri e all’oggi. Allo ieri, perché recide qualsiasi legame di confronto con il suo ex partito; all’oggi, perché instaura una grammatica di dialogo tutta propria con il governo. C’è un punto di forma, per esempio, e risiede nella definizione tributata a Carlo Nordio: «Il miglior ministro della giustizia possibile».
Calenda svela il caso clamoroso in Senato con il commesso: "Vota sì". Ma non è vero
Ma il punto tangibilissimo è quello delle riforme: «Se la maggioranza vorrà sfidarci in positivo, sull’elezione diretta del presidente del Consiglio, che noi nel nostro programma elettorale abbiamo chiamato "sindaco d’Italia", noi ci saremo». Una linea già espressa durante la sua partecipazione, lo scorso dicembre, alla kermesse di Fratelli d’Italia Atreju, ma che ora si trova alla prova dei fatti di un governo effettivamente guidato da Giorgia Meloni. Che, dal suo canto, pare aver preventivamente gettato un amo. Siccome in politica nulla è casuale, non può passare inosservata la citazione di Piercarlo Padoan, che fu ministro dell’economia proprio del governo Renzi, per supportare la trasversalità dell’aumento al tetto del contante: «Ci sono Paesi in cui il limite non c’è e l’evasione fiscale è bassissima». Padoan poi rivide quella posizione, ma il punto non cambia, perché effettivamente il governo Renzi portò il tetto da mille a tremila euro, con valanghe di strali dall’allora minoranza «bersaniana» del Pd. Questo, quindi, testimonia come anche sui temi economici, orientati sulla sensibilità della classe media, un dialogo può essere avviato. E lo conferma, a completare il quadro, la posizione di Luigi Marattin, mente economica dei renziani, che si è dichiarato favorevole all’eliminazione delle cartelle inesigibili. Una terza via per il terzo polo, tra maggioranza e opposizione? Non proprio, perché quello che riguarda Renzi non riguarda Calenda. Il leader di Azione, infatti, si è discostato dal Pd sulla manfrina del pericolo autoritario. Ma sul resto mantiene una posizione ben diversa rispetto al co-fondatore della sua alleanza, e lo conferma nell’intervista rilasciata ieri mattina a Repubblica. Alla domanda se sia d’accordo «almeno sul presidenzialismo, su cui Renzi ha aperto», risponde un eloquente: «Per niente». E senza fare alcuna concessione alla squadra di governo (al contrario di Renzi, come si è visto, per il Guardasigilli), Calenda si è persino lamentato di non riuscire a stabilire un contatto con Letta. Se si raffrontano le posizioni dei leader «macronisti» d’Italia, almeno ieri, con la dovuta produenza, non è peregrino intravvedere l’inizio di uno smantellamento del Terzo Polo.