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Giorgia Meloni incassa la prima fiducia alla Camera. Ora la prova in Senato

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Il governo guidato da Giorgia Meloni incassa la prima fiducia alla Camera, con 235 sì, 154 voti contrari e 5 astenuti. Nessun pathos sui numeri: il centrodestra a Montecitorio ha un ampio margine di scarto sulle forze di opposizione. L’attenzione, quindi, si sposta al Senato, dove la presidente del Consiglio replicherà in Aula. Poi le dichiarazioni di voto: attesa per l’intervento di Silvio Berlusconi. Ma i riflettori saranno puntati anche su Matteo Renzi, sulla cui linea più "morbida" nutrono sospetti sia i dem che i 5 stelle.

Fatto sta, alla Camera è resa evidente la conferma che Pd, M5s e Terzo Polo faticano, anzi proprio sembrano neanche provarci, a trovare punti di contatto. Non che a palazzo Madama il centrodestra corra rischi sui numeri: la maggioranza ha 29 voti di differenza con le opposizioni. Eppure, c’è attesa sui numeri, tanto più dopo che ben 9 senatori sono stati "promossi" ministri. La giornata dell’esordio di Meloni in Aula scorre via tra applausi (oltre una settantina), cori da stadio al grido di « Giorgia, Giorgia», standing ovation e qualche battimano bipartisan (su Mattarella, Draghi, Papa Francesco, Forze armate e i medici eroi anti Covid). Non manca la commozione: in primis dell’ampia pattuglia di deputati di FdI. La stessa premier si lascia andare ad attimi di emozione e commozione. Meloni rivendica con orgoglio di essere la prima donna a Palazzo Chigi, di esserci arrivata solo con le sue forze e grazie all’aiuto del centrodestra, che ringrazia. Si autodefinisce una «underdog» e garantisce che non sarà mai la cheerleader di nessuno. Poi elenca il suo manifesto programmatico, stretta tra i suoi due vicepremier: Matteo Salvini alla sua destra e Antonio Tajani alla sua sinistra. Dalle opposizioni dure critiche, ma i livelli di guardia non vengono oltrepassati. Il clima si accende solo quando interviene il leader pentastellato Giuseppe Conte, che non lesina stoccate al presidente del Consiglio. Meno "teso" l’intervento del segrtario dem, Enrico Letta, che pure non fa sconti a Meloni.

È lo stesso presidente del Consiglio a dar vita ad alcuni "siparietti": si lascia andare a due espressioni romanesche: «vojo morì», confessato a Salvini, dopo che l’intervento programmatico in Aula si sta protraendo a causa delle tante interruzioni dovute agli applausi, e poi quando invita l’emiciclo a "calmarsi", dicendo «boni, boni» alle opposizioni, durante le repliche, dai cui banchi si levano proteste per la gaffe in cui è incappata rivolgendosi con tanto di «tu» (formula vietata dal cerimoniale) al deputato Aboubakar Soumahoro, sbagliandone il nome per poi scusarsi. Poi polemizza con la capogruppo dem Serracchiani («Ho sentito dire che io vorrei le donne un passo dietro agli uomini. Mi guardi, onorevole Serracchiani, le sembra che io sia un passo dietro agli uomini?»).

 

 

 

Al termine della lunga prima prova dell’Aula per l’esecutivo Meloni, incassata la fiducia, il premier commenta soddisfatta in un tweet: «Ringrazio tutte le forze politiche per aver ascoltato le linee programmatiche che l’esecutivo intende attuare per risollevare l’Italia. Sarò in Senato per un altro importante tassello. La rotta è tracciata: andiamo avanti». Garantiscono sostegno e lealtà le altre forze di maggioranza, che dopo i primi giorni di tensione si presentano compatte all’appuntamento dei numeri. «Bellissimo il discorso di Giorgia», commenta il vice premier leghista. «Musi lunghi a sinistra, speranza e fiducia per gli italiani. Ribaditi impegni su tasse, pensioni, lavoro, sicurezza, autonomia e riforme. Per quanto mi riguarda: sbloccare cantieri e opere pubbliche ferme e attese da anni, creando lavoro e ricchezza, sarà il mio impegno giorno e notte», dice Salvini. «Meloni, nel suo assai pregevole intervento programmatico, ha individuato le priorità del Paese, ha tracciato una rotta chiara, nel solco del lavoro fatto fino ad oggi dal centrodestra», scrive in una nota Berlusconi, che assicura: «Forza Italia darà un contributo qualificato, serio e leale».

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