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Dal fotovoltaico alla banda larga: ecco i compiti di Salvini alle Infrastrutture

L'Italia è diventata il "Paese del no" e negli ultimi 15 ha polverizzato gli investimenti nel futuro. E' ora di cambiare marcia

Stefano Cianciotta (Presidente Osservatorio Infrastrutture Confassociazioni e Abruzzo Sviluppo spa)
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La nomina di Matteo Salvini al Ministero delle Infrastrutture è un indicatore per spiegare perché l'esecutivo guidato da Giorgia Meloni può diventare il nuovo Governo del Sì. Salvini alle Infrastrutture, al netto degli equilibri politici nella scelta dei ministri e nell'attribuzione dei dicasteri, dovrà misurarsi infatti con i veti e le conflittualità esasperate che ancora persistono sui territori, come dimostrano i casi di Piombino ma anche le tensioni in Puglia e Basilicata sull'off-shore, sul fotovoltaico e sugli impianti di accumulo dell'energia. Sarà molto interessante, infatti, capire quale sarà la strategia del Governo per dialogare con i territori interessati, e agevolare la percezione positiva e l'utilità delle infrastrutture, come da alcuni anni fa ad esempio Terna con la coprogettazione degli interventi.

Proprio le grandi infrastrutture e i dossier gestiti dal Mise (energia e idrocarburi in primis) avevano costituito nell'allora Governo giallo-verde un nodo cruciale nella continua dialettica politica tra la Lega e il M5s. Salvini non a caso aprì la crisi dopo la spaccatura in Parlamento sulla Tav, perché alla base dei diversi valori politici dei partiti che avevano dato vita al contratto di Governo nella scorsa legislatura, c'era innanzitutto una visione diametralmente opposta sugli strumenti e le misure per promuovere lo sviluppo e favorire la crescita. A cominciare proprio dalle grandi opere che, invece, in condizioni di crescente efficienza e di rispetto dell'ambiente, sono essenziali per l'ammodernamento del sistema produttivo e per migliorare la qualità della vita dei cittadini.

L'Italia è al diciannovesimo posto tra i Paesi Ue per grado di sviluppo delle connessioni. La rete fissa a banda larga copre meno di un quarto delle famiglie contro il 60 per cento della media europea. Fino al 2008 l'Italia investiva in media il 3,4% del Pil in infrastrutture. L'Italia per investimenti sulle infrastrutture è ora terzultima in Europa con l'1,8%. Solo Irlanda e Portogallo fanno peggio. Se la media europea è del 2,7%, in alcuni Paesi nordici e baltici, e sorprendentemente anche in Grecia, invece si supera il 4%. Al primo posto c'è l'Estonia con il 5,6%, grazie soprattutto agli investimenti digitali.

Disinvestire nelle infrastrutture è costato nell'ultimo decennio al nostro Paese almeno un punto di Pil ogni anno. Dare centralità al tema delle infrastrutture nell'agenda del nuovo Governo significa stimolare un percorso strutturato che avvii la costruzione di un ecosistema dinamico per rilanciare non solo gli investimenti nel settore, ma anche l'affidabilità e la credibilità dell'Italia in termini reputazionali, minate negli ultimi anni anche dalle vicende della Tav e del Tap.

Le strategie, le modalità e i tempi delle azioni con i quali il nuovo Governo sceglierà di investire sul tema delle infrastrutture fisiche, e di sostenere interventi innovativi per accelerare sull'utilizzo dell'intelligenza artificiale nella gestione dell'intermodalità, ci diranno molto del futuro sostenibile e digitale dell'Italia. E delle capacità del centrodestra di Giorgia Meloni.

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