Eletti alla Camera e al Senato 2022, la rivincita dei "veterani" in Parlamento
Qualcuno la chiamerà «restaurazione». O magari «rivincita della Casta». Per chi la vede all'opposto, invece, si tratta della sconfitta del grillismo, del tramonto dell'ideologia dell'incompetenza, del definitivo addio al dogma dell'«uno vale uno». Come che lo si voglia interpretare, in ogni caso, il dato principale della legislatura inaugurata giovedì scorso è che, per la prima volta da una quindicina d'anni a questa parte, in Parlamento trionfa l'esperienza. Sia come età media, che si alza dopo essersi abbassata ininterrottamente dal 2006; sia come percentuale delle «new entry» tra gli eletti, che crolla rispetto al 2018; sia, infine, come numero medio di mandati alle spalle, anch' esso in salita.
UN PARLAMENTO DI DECANI Sembra ieri quando una pattuglia di grillini rampanti entrò nelle Camere e diventò protagonista delle cronache politiche. Era il 2013 e gli italiani cominciarono a familiarizzare con nomi come Roberto Fico, Alfonso Bonafede, Alessandro Di Battista. Uno di loro, Luigi Di Maio, non aveva compiuto neanche 27 anni e si accaparrò subito la vicepresidenza della Camera, prima tappa di una carriera politica intensissima. Era il simbolo di un ringiovanimento complessivo del Parlamento: 54 anni al Senato e 45 alla Camera. Nella legislatura successiva, quella del 2018, il dato si abbassò ulteriormente: 52 anni al Senato, 44 alla Camera. Altri tempi. Secondo il monitoraggio effettuato da Political Data Agency, il Parlamento appena insediatosi segna un'inversione di tendenza: l'età media del Senato sale a 54 anni, quella della Camera addirittura a 49. A Palazzo Madama il gruppo più anziano è quello di Forza Italia, 60 annidi media (lo stesso leader Silvio Berlusconi vanta 84 primavere), mentre i più giovani siedono tra i banchi del Terzo Polo: 48 anni. A Montecitorio, invece, la palma dell'esperienza va a Noi Moderati, 56 anni di media, mentre i più giovani sono i grillini: 45 anni. Anche qui il confronto con il passato è impietoso: nella scorsa legislatura alla Camera il Movimento aveva un'età media di 38 anni.
CROLLANO I DEBUTTANTI
Non è solo una questione di età. L'effetto più immediato del taglio dei parlamentari - e cioè dalla riduzione delle poltrone complessive da 945 a 600 - è rappresentato dalla tendenza dei partiti a garantire innanzitutto il posto agli «uscenti». Il risultato è stato il crollo del tasso di ricambio. Se nella scorsa legislatura gli onorevoli al debutto furono circa 600, stavolta i debuttanti totali sono «solo» 256. Vale a dire il 43% del totale, circa venti punti percentuali in meno rispetto al 2018. Fa eccezione Fratelli d'Italia, con il 63% di nuovi, ma solo perché il partito di Giorgia Meloni ha moltiplicato le poltrone a disposizione grazie al boom elettorale. A differenza della Lega, ad esempio, che ha dimezzato le percentuali e ha sostanzialmente badato a confermare più uscenti possibile: il 77% degli eletti, contro il 23 di nuovi. Va annotato che anche buona parte dei cosiddetti debuttanti non è sconosciuta alle cronache. Trattasi di professionisti già piuttosto celebri nei rispettivi settori di attività, basti pensare al presidente della Lazio Calcio Claudio Lotito, all'ex magistrato Carlo Nordio, a Ilaria Cucchi, al sindacalista Aboubakar Soumahoro, al diplomatico ed ex ministro Giulio Terzi di Sant'Agata.
UNA VITA DA ONOREVOLE
La conseguenza del crollo dei debuttanti è anche l'innalzamento della media di mandati già svolti: 1,10. Da questo punto di vista il dato più impressionante è quello di Noi Moderati: al Senato i due eletti - Michaela Biancofiore e Antonio De Poli - vantano complessivamente 8 legislature, per una media di gruppo di 4. Ma anche alla Camera i 13 onorevoli centristi sono quelli con più legislature alle spalle, quasi 2 (1,86) a testa. I più «inesperti» invece sono i parlamentari dell'Alleanza Verdi Sinistra, tanto alla Camera (0,58 legislature di media alle spalle) che al Senato (0,5). Inevitabile citare gli «aficionados» del Parlamento. Partendo dall'eterno Pier Ferdinando Casini (10 legislature per 40 anni ininterrotti da onorevole), passando per i leghisti Roberto Calderoli e Umberto Bossi (8 legislature) per arrivare ai vari La Russa, Gasparri, Tremonti, Rotondi, Fassino, Tabacci eccetera. La curiosità è che molti di loro sono riusciti a essere rieletti pur avendo cambiato partito più di una volta. «Maestri» in questo gli ex Dc Casini, Rotondi e Tabacci. Che, dal canto loro, si difendono sostenendo di continuare a difendere i valori dello Scudo crociato sotto altre insegne.
MASCHI E SECCHIONI
Infine due dati in controluce. Il primo, in negativo, è il calo delle presenze femminili: le donne erano il 37% nella scorsa legislatura, oggi sono il 32 alla Camera e il 33 al Senato. Il «trucco» adottato dai partiti per ridurne la presenza sta nelle pluricandidature: far scattare l'elezione di una parlamentare in un collegio ma candidarla anche in altre 4 circoscrizioni significa eleggere automaticamente quattro uomini che solo in apparenza erano secondi in lista. Il dato positivo invece sta nei titoli di studio dei parlamentari. Un confronto per ora è possibile solo a Montecitorio (il Senato non ha ancora completato le schede degli eletti). Ebbene i deputati che hanno almeno la laurea passano dal 70,7% della scorsa legislatura al 74 di quella in corso. È un dato controverso, poiché non sempre in politica la laurea dà un valore in più. Nella scorsa legislatura, per dire, i due principali attori del governo gialloverde - Luigi Di Maio e Matteo Salvini - ne erano sprovvisti. E non è laureata neanche la premier in pectore, Giorgia Meloni. Peraltro donna, nonostante il calo di presenze femminili. La dimostrazione che i numeri in politica non dicono tutto. E che, alla fine, quelli che contano realmente sono solo i voti.