Fontana e il delirio del Pd: maxi striscione e insulti. “È uno sfregio”
Il Partito democratico non accetta la democrazia parlamentare. Secondo Enrico Letta e compagni la maggioranza non ha il diritto di scegliere tra le sue fila il presidente della Camera che più ritiene adatto. Dopo aver inveito contro Ignazio La Russa al Senato, adesso tocca a Lorenzo Fontana, giudicato pericoloso per il Paese. La sua colpa principale è essere un sostenitore convinto della famiglia tradizionale. Ecco allora che il segretario dem detta la linea: «Peggio di così nemmeno l'immaginazione più sfrenata. L'Italia non merita questo sfregio». La XIX legislatura è appena iniziata che i deputati del Pd provano a trasformare l'aula di Montecitorio in una corrida. Quando il presidente provvisorio Ettore Rosato dà il via alle operazioni di voto, gli onorevoli Alessandro Zan (paladino dei diritti lgbt) e Rachele Scarpa (neo deputata finita nella bufera in campagna elettorale per alcune posizioni anti-israeliane) srotolano un grande striscione in cui si legge: «No a un presidente omofobo pro Putin». Fontana, infatti, è reo di aver criticato le sanzioni alla Russia. Poco importa se quelle critiche furono espresse ben prima che la Russia invadesse l'Ucraina.
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Il Pd non gradisce nemmeno il fatto che il nuovo presidente della Camera sia un fervente cattolico e voglia disincentivare l'aborto. Per Laura Boldrini «è estremista, misogino e non può rappresentare l'intera aula». Frasi pronunciate sia prima che dopo il discorso con cui Fontana ha affermato che «la ricchezza dell'Italia sta nelle diversità» e ha garantito che sarà «il presidente di tutti», anche di chi non lo ha votato. Lia Quartapelle, responsabile Esteri del Pd, «rabbrividisce» al solo pensiero di Fontana a capo di Montecitorio. Anche Piero Fassino ci va giù duro: «Dalla nostalgia del ventennio al putinismo sino alla negazione dei diritti. Alla prima occasione mettono ai vertici della Repubblica chi si rifà a mondi fuori dalla storia». Elly Schlein, uno dei nomi in lizza per il dopo Letta, bolla La Russa e Fontana come «due figure estreme». Tutte parole che Giorgia Meloni giudica «irrispettose», «un'offesa allo Stato e alla volontà popolare».
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Il Pd tira dritto, tanto da far filtrare l'ipotesi di candidare proprio Zan, il deputato che sventola gli striscioni, a vicepresidente della Camera, una di quelle cariche che per prassi spetta all'opposizione. L'idea è emersa subito dopo l'elezione del leghista alla presidenza, ma potrebbe rimanere solo una suggestione dal momento che il sudoku dei nomi per le cariche elettive è ancora in via di definizione. Il diretto interessato, comunque, fa sapere di «essere a disposizione». E se i dem minacciano tuoni e fulmini, anche il M5S prende le distanze dai presidenti di Camera e Senato. Paradossali le parole di Giuseppe Conte: «Fontana e La Russa? Le forze di centrodestra che hanno vinto le elezioni offrono il meglio che hanno dal loro punto di vista. Io con il M5S ho un quadro valoriale e delle idee completamente distante». Una domanda sorge spontanea: se i suoi valori sono diametralmente opposti, per quale motivo nel 2018 volle proprio Fontana come ministro della Famiglia nel suo primo governo?
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