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I "bocciati" del Pd alle elezioni provano a riciclarsi alla Regione Lazio

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Pietro De Leo
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Prossima fermata, Regione Lazio. Su cui il Pd proverà le fiches di una riconferma al timone, che appare però mortificata da uno scenario difficile. Proviamo, quindi, a mettere in fila le tessere di tempi e dinamiche, assai complicate, nel centrosinistra. Le danze potrebbero iniziare già il 13 ottobre, giorno in cui si insedierà la Camera dei Deputati della XIX Legislatura. Il presidente della Giunta regionale Nicola Zingaretti, eletto deputato, a quel punto avrà due opzioni. O dimettersi subito dal Palazzo della Colombo, oppure aspettare l'iter di verifica delle incompatibilità, che potrebbe richiedere svariate settimane. È una scelta sostanziale, da cui dipende la data delle prossime elezioni regionali, e su cui i dem a quanto pare non hanno sentimento unanime. Zingaretti, infatti, di suo pare voglia mettere fine all'esperienza al primo giorno utile, anche per sganciarsi definitivamente dalla cattiva letteratura mediatico giudiziaria che, da tempo, avvolge e accomuna il Pd regionale e la sua amministrazione. Dal caso concorsi a quello mascherine, senza dimenticare la vicenda di Albino Ruberti con l'ormai famoso video captato a Frosinone. Nel partito, invece, pare prevalga l'ipotesi «attendista»: tirare in là le dimissioni, in modo da guadagnare tempo per comporre il complicato puzzle per le alleanze nella scelta del prossimo candidato presidente.

 

Nel frattempo, c'è il tema di un partito uscito male dalle elezioni politiche, anche sul territorio. Tranne a Roma, dove è andato un po' meglio della media (sopra il 20%) e questo fa di Roberto Gualtieri (e di Claudio Mancini, che per quanto abbia perso la sfida al collegio uninominale entra grazie alla quota proporzionale). Per quanto, dopo l'addio di Albino Ruberti dal timone di Capo di Gabinetto, i rapporti tra gruppo consiliare e Giunta capitolina non sono dei più semplici. In ogni caso, si fa già la conta dei nomi. C'è Daniele Leodori, quotatissimo e sostenuto dal segretario regionale Bruno Astorre.
Non è mai venuto meno Alessio D'Amato, nell'ottica di allargamento a sinistra.

 

Ma il quadro potrebbe complicarsi considerando le tante aspettative mortificate dalle elezioni politiche.

Una, per esempio, è quella di Monica Cirinnà, figura che incarna l'attivismo LGBT e rimasta fuori dal Parlamento. Un altro nome che può essere della partita (ma improbabile nella rosa del toto-candidato a Presidente, più verosimile in lista per il Consiglio) è quello di Patrizia Prestipino. Molto, ovviamente, dipenderà dalle geografie delle alleanze che si andranno ad innestare. Al momento, è assai difficile che possa essere cucito un accordo con il Terzo Polo.

Per quanto Carlo Calenda, qualche giorno fa, non abbia escluso un dialogo con i dem in vista delle regionali, ieri ha fatto capire senza ombra di dubbio che questo tema non riguarda il Lazio dove, a suo dire, «il Pd ha il peggior sistema di potere di tutta Italia. Mentre al Nord ci sono amministratori capaci, qualche sindaco in gamba, il Lazio è il nucleo del problema del Pd e c'è una saldatura con M5s molto forte». Partita chiusa, quindi, ancor più considerando che, per rafforzare la sua proposta politica, una corsa solitaria in questo momento gli sarebbe più funzionale, così come avvenuto, con buoni riscontri, a Roma città nel 2021.

 

Complicato, poi, è anche il quadro del confronto con il Movimento 5 Stelle. Qui ci sono due visioni. A partire da quella che fa capo all'esperienza che va a chiudersi alla Pisana, dove i pentastellati sono in maggioranza e in giunta, esprimendo la figura di Roberta Lombardi, che però, vigendo ancora la regola dei due mandati come limite massimo, non potrebbe ricandidarsi. L'assetto regionale Pd-M5S, che non è mai stato gradito da Virginia Raggi, l'ex sindaco di Roma che con Lombardi, nel corso degli anni, ha avuto frizioni su svariati temi.

Ancor più allo stato attuale delle cose, considerando la ragione su cui è caduto il governo Draghi, ossia i poteri commissariali a Gualtieri per realizzare l'inceneritore.

 

In mezzo, Giuseppe Conte. La questione, però, è di stretta attualità tanto che ieri ha agitato le acque un retroscena de La Stampa che dipingeva una Virginia Raggi (anche lei sottoposta alla regola del tetto ai due mandati) pronta alla candidatura in solitaria alla guida di una lista civica. Ipotesi possibile solo con uno strappo dal Movimento 5 Stelle (lo ha sottolineato, infatti, anche la capogruppo pentastellata uscente al Senato Mariolina Castellone, vicinissima a Conte, che ha ribadito quanto con il Pd sia «difficile immaginare un percorso comune»). Tuttavia, la Lista Civica dell'Assemblea Capitolina che porta il nome dell'ex prima cittadina ha «categoricamente» smentito questo «fantasioso piano». In ogni caso, le manovre preliminari confermano quanto il quadro, nel centrosinistra, sia ancora molto liquido.

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