Governo, l'eredità dei Migliori. Franco ammette: il Pnrr finora è un flop
Doveva essere un treno lanciato a tutta velocità per rilanciare il Paese. Rischia di diventare un regionale a vapore. Dei magnifici progressi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (noto ai più informati come Pnrr) si sono riempiti la bocca ben due premier, Giuseppe Conte e Mario Draghi, addirittura il secondo chiamato a certificare che il poderoso sforzo messo in campo da Bruxelles non finisse nei soliti mille rivoli dello sperpero di denaro pubblico. Ma finora non c'è stato nulla o quasi. Né il rilancio né lo spreco.
A certificare che qualcosa sulla scrivania del governo dei migliori non è andato per il verso giusto è uno dei principali responsabili dell'attuazione del Piano e cioè il ministro del Tesoro, Daniele Franco che, nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, approvata mercoledì scorso dal consiglio dei ministri, ha scritto che, pur avendo già ottenuto la seconda tranche dei soldi, i 21 miliardi sbloccati dalla Commissione questa settimana, «l'ammontare di risorse effettivamente spese per i progetti del Pnrr nel corso di quest' anno sarà inferiore alle proiezioni presentate nel Def per il ritardato avvio di alcuni progetti». Prima ammissione dunque. La macchina burocratica italiana e quella ministeriale incaricata di «mettere a terra» (così si dice adesso) le risorse, si è inceppata. O meglio, come certificato dagli allarmi dei sindaci sulla debolezza delle strutture tecniche incaricate delle gare e progetti, il piano ha messo in evidenza la fragile struttura della pubblica amministrazione nelle gestioni straordinarie.
Una considerazione quest' ultima che emerge dalle parole di Franco: il ritardo della partenza riflette «i tempi di adattamento alle innovative procedure del Pnrr».
Ma non è tutto. A rallentare l'impiego dei fondi anche un altro aspetto. E cioè «gli effetti dell'impennata dei costi delle opere» ha spiegato il responsabile del dicastero dell'Economia. Così anche se «il governo è intervenuto per incrementare i fondi destinati a compensare i maggiori costi, sia per le opere in corso sia per quelle del Piano» è evidente che, visti i corsi inflazionistici, con la dotazione attuale e cioè i 191,6 milioni di euro totali qualche programma di investimento marginale o in ritardo di progettazione rischia con ragionevole certezza di saltare.
E non è finita. Lo staff economico del nuovo governo dovrebbe iniziare ad avere qualche brivido freddo quanto alla sorpresa che troverà sulle scrivanie all'insediamento. I numeri scritti da Franco nella Nadef che testimoniano finora il flop del Pnrr sono terrificanti. «Le stime più recenti indicano che, dei 191,5 miliardi che la Recovery and Resilience Facility europea ha assegnato all'Italia, circa 21 miliardi saranno effettivamente spesi entro la fine di quest' anno. Restano pertanto circa 170 miliardi da spendere nei prossimi tre anni e mezzo: si tratta di un volume di risorse imponente». Ed ecco il nodo. Covid a parte, in circa 2 anni lo Stato ha impegnato solo 21 miliardi. Ora con le stesse condizioni il nuovo governo di centrodestra ne deve spendere circa 50 all'anno. Una cifra enorme che, con gli attuali meccanismi amministrativi, e anche depotenziando vincoli e lacciuoli delle soprintendenze e delle certificazioni ambientali, si può già ipotizzare che difficilmente sarà utilizzata. A meno di miracoli. E lo stesso Franco nella sua chiusa usa un "se" ipotetico che qualche dubbio sui risultati lo lascia: «Se saranno pienamente utilizzate (le risorse ndr) daranno un contributo significativo alla crescita».
Insomma il carico ora passa a chi arriva perché finora i risultati sono miseri. Così sarà anche per il pericolo di non portare a compimento gli investimenti programmati che, nei giorni scorsi, Fratelli d'Italia ha chiesto di modificare la struttura del Pnrr e di allungare i tempi di attuazione. Se le opere non si realizzano entro il 2026, infatti, la rigida Ue chiederà i soldi indietro. Morale: il pacco, con possibile fregatura, è stato lasciato al nuovo esecutivo con un rischio di fallimento non esiziale. Anche perché oltre ai 50 miliardi annui vanno affiancati i fondi strutturali europei che comunque continuano il loro percorso ordinario e si sommano al Next Generation Eu. Tanti soldi, tantissimi. Che rischiano di restare in cassa anche con tutta la buona volontà del nuovo esecutivo.